martedì 8 maggio 2018

il manifesto 8.5.18
L’Italietta che glorifica Netanyahu
Giro d'Italia dell'apartheid. Ospitare le tappe del Giro è l’ultimo strumento di abbagliamento mediatico di una propaganda mirante a dissolvere l’identità palestinese, a negarne la titolarità, a farne dimenticare l’interminabile tragedia di cui è vittima dietro alla cortina fumogena della mitografia sionista
di Moni Ovadia


Il nostro Gino nazionale come l’avrebbe preso questo espatrio del nostro Giro in terra promessa? Il suo leggendario naso da italiano in gita sarebbe rimasto indifferente o si sarebbe stortato per l’indignazione di fronte alla partecipazione del ciclismo italico alla vergognosa operazione di strumentalizzazione mediatico-retorica di uno sport popolare per fini non certo nobili?
Il governo israeliano ha presentato le tappe che si sono svolte in Israele come un modo per onorare Gino Bartali, che fu un «giusto fra i popoli», in occasione del 70esimo anniversario della nascita e fondazione dello Stato d’Israele, Stato ebraico che si era proposto di raccogliere gli ebrei dispersi e sopravvissuti alla Shoà e ad altre persecuzioni per dare loro un focolare e invece in sette decenni il «sogno» è diventato un incubo.
Un incubo per l’altro popolo che abita quella terra, il palestinese.
Il presunto focolare è diventato una fortezza sedicente democratica e armata fino ai denti. Il suo comandante in capo, il suo governo sono spasmodicamente impegnati soprattutto in un’impresa: investire su ogni sforzo, ogni risorsa per impedire all’altro popolo presente su quella terra di godere dei suoi legittimi diritti.
Ospitare tappe del Giro d’Italia è l’ultimo strumento di abbagliamento mediatico che si aggiunge alla propaganda mirante a dissolvere l’identità palestinese, a negarne la titolarità, a farne dimenticare l’interminabile tragedia di cui è vittima dietro alla cortina fumogena della mitografia sionista che glorifica i grandi successi tecnici, scientifici ed economici israeliani per giustificare un’impunità ingiustificabile.
L’ideologia ultranazionalista che sorregge tutto ciò si fonda sulla confusione di eredità religiosa ovvero il polpettone mal ricucinato di un interpretazione capziosa del «dono» divino e una lettura falsificata della pretesa elezione, condita da un martellante e costante richiamo alla Shoà come arma di ricatto nei confronti delle vittime dell’oppressione coloniale e militarista e della pavida e ipocrita comunità internazionale che preferisce tacere o vagire qualche pseudo rimprovero tanto patetico quanto inutile.
E non stupisce che l’istituzione sportiva del nostro paese si sia piegata alla strategia del premier israeliano che non vuole la pace ma solo una costante tensione bellicista per restare al potere ininterrottamente per espropriare, rubare, inglobare le risorse delle sue vittime elettive.
La nostra italietta per cosa si è prestata a questa ulteriore e ingiusta sceneggiata. Per soldi? E non poteva farlo per legare l’iniziativa a progetti di pace? Ma siamo matti? La pace è troppo pericolosa per il moderatismo nostrano. Lo sanno quale è il livello di devastazione in cui versa Gaza? Per l’amore del cielo non parliamo di tristezze!
E quale sarà il passo successivo? Il prossimo festivàl di Sanremo condotto da Netanyahu e Trump nella Gerusalemme eterna e unificata dello Stato di Israele in mondovisione?
C’è da aspettarsi di tutto, davvero di tutto, nella Città Santa, fuorché una pace equa basata sull’eguaglianza e la giustizia.