il manifesto 4.5.18
Operatrice trasferita: «Non ti vogliamo perché sei nera»
Razzismo.
La donna, di origine senegalese, spostata in un’altra struttura dopo le
proteste dei pazienti di una casa per anziani di Senigallia
di Mario Di Vito
SENIGALLIA
«Ecco un’altra nera». Fatima Sy ha quarant’anni, vive a Senigallia da
quindici, e i soldi del suo stipendio da operatrice sociale in una casa
di riposo per lo più li invia ai suoi due figli che vivono in Senegal.
Una vita non facile, la sua, straniera in terra straniera e non molto
benvoluta proprio a causa del colore della sua pelle: non solo nelle
strade e nei locali, ma anche sul posto di lavoro. Gli anziani ospiti
dell’Opera Pia Mastai Ferretti di via Cavallotti, a Senigallia, le hanno
mandato a dire che lì proprio non la volevano: «Non ti vogliamo, non ci
piaci perché sei nera. Vattene». Lamentele indirizzate non direttamente
a lei, ma ai vertici della struttura, che, dopo essersi confrontati con
la cooperativa Progetto Solidarietà, per cui Fatima lavora, hanno
deciso di mandare via l’operatrice. Sarà destinata a un’altra struttura,
con altri ospiti, si spera, meno razzisti di quelli dell’Opera Pia,
dove la donna ha operato in prova per pochi giorni.
Stava
lavorando bene, a detta di tutti, e il suo modo di porsi con gli anziani
era particolarmente apprezzato, tra l’altro. Complimenti che però, a
conti fatti, sono inutili visto che qualcuno, tra gli ospiti («Due o tre
persone», confermano dalla struttura), non gradiva la sua presenza e
così a Fatima non è stato stipulato il contratto in quella casa di
riposo, ma dovrà ricominciare, ancora in prova, altrove.
Il
presidente dell’opera pia, Mario Vichi, prova a mischiare le carte, a
spiegare l’inspiegabile, con il tono un po’ scocciato di chi pensa di
trovarsi davanti a una tempesta dentro un bicchiere d’acqua. «La signora
– ha detto riferendosi a Fatima – forse è già un po’ polemica di suo…
Non possiamo chiudere la bocca a un anziano, magari con un po’ di
demenza, che paga 1600-1700 euro per stare da noi». In pratica, se uno
paga, ha diritto ad essere razzista. E ancora, prosegue Vichi, le
responsabilità vengono gettate addosso alla cooperativa Progetto
Solidarietà: «Hanno preso l’iniziativa di trasferirla senza dirmi
niente, forse il loro è stato un eccesso di prudenza».
Il
trasferimento di Fatima, ufficialmente, è stato deciso per tutelare la
donna, per «inserirla in una realtà meno ostile», ma il sapore amaro di
una storia di ordinaria discriminazione allunga la lista
dell’intolleranza in salsa marchigiana. Gli ultimi anni da queste parti
sono stati allucinanti: dall’omicidio del nigeriano Emmanuel Chidi Namdi
a Fermo nel luglio del 2017 alla sparatoria di Luca Traini a Macerata
lo scorso febbraio, passando per il rogo di un palazzo che avrebbe
dovuto ospitare migranti, in provincia di Ascoli, a capodanno e alla
fossa comuna di migranti scoperta sotto all’Hotel House, a Porto
Recanati, meno di un mese fa.
Adesso, a Senigallia, l’ennesima
dimostrazione che anche nelle tradizionalmente tranquille Marche, sotto
la coltre di perbenismo, cova un odio profondissimo che esce fuori a
fiammate e descrive una realtà ben diversa da quella dipinta dai
depliant turistici. Per ora, praticamente nessuno ha preso le difese
della donna, e sui social network, più che altro, si leggono commenti di
scherno o negazioni della realtà, dubbi sulla veridicità della storia,
insulti gratuiti.
Le frasi rivolte a Fatima, che ha raccontato la
sua storia al Corriere Adriatico, sarebbero per molti ‘scherzose’, una
presa in giro bonaria, niente di più. È così che il razzismo diventa un
gioco di parole, un dettaglio di cui si può pure ridere. Peccato che le
conseguenze di questo scherzo siano reali e per nulla piacevoli: una
donna di quarant’anni non può lavorare in una casa di riposo. Il motivo?
È nera.