il manifesto 4.5.18
Benjamin e il partito della sinistra
Dopo
 il 4 marzo. Non serve abbandonarsi alla «melanconia» o al fatalismo. 
Nella storia come in politica c’è sempre una alternativa. Le energie ci 
sono. La grande vittoria al referendum del dicembre 2016, dimostra che 
l’opinione pubblica ha capacità, proprio nei momenti topici, di cogliere
 l’essenziale
di Fabio Vander
Malinconia di 
sinistra intitolava Walter Benjamin un suo breve saggio del 1937. Ce 
l’aveva con gli intellettuali di sinistra, tedeschi ed europei, degli 
anni ‘30, depressi e melanconici perché sopraffatti dalla «routine», non
 più capaci di «provare disgusto», oggi si direbbe di indignarsi.
«Radicali
 di sinistra» ridottisi a «creare, dal punto di vista politico, non 
partiti ma cricche». La conclusione era senza appello: «Qquesto 
radicalismo di sinistra è proprio precisamente quell’atteggiamento a cui
 non corrisponde più nessuna azione politica». A qualcuno, oggi, in 
Italia, dovrebbero fischiare le orecchie.
Il risultato del 4 marzo
 ha investito l’intero spettro della sinistra e del centro-sinistra. Il 
Pd è stato punito due volte (al referendum del dicembre 2016 e alle 
politiche del 2018) per la sua politica di governo e 
istituzionale-costituzionale; ma anche la sinistra radicale per aver 
dilapidato dieci anni, dalla costituzione del PD nel 2007 ad oggi, senza
 riuscire a costruire un soggetto politico autonomo, capace di progetto,
 radicamento, rappresentanza di interessi sociali e civili. Da Sinistra 
Arcobaleno a Liberi e Uguali, solo liste elettorali senza progetto 
politico.
La «melancolia» del vasto mondo della sinistra 
(costretto ormai a nascondersi «nel bosco», a votare Cinque Stelle, 
quando non Lega) rimanda dunque a errori e responsabilità di ceto 
politico che denotano un deficit strategico divenuto strutturale. Così 
ad esempio Mdp è stata utile per far perdere il Pd ma non per 
ricostruire la sinistra, come puntare su Pisapia, cioè su chi aveva 
votato «sì» al referendum costituzionale e voleva un «campo 
progressista» fiancheggiatore del Pd, era evidentemente un errore. Lo 
stesso per la lista «Liberi e Uguali» (Leu), nata improvvisata e così 
percepita da un elettorato di sinistra giustamente esigente. La politica
 dei due tempi: prima la lista poi, semmai, il partito, è stata una 
volta di più esiziale e pagata a caro prezzo. Lo stesso vale per 
Sinistra ecologia e libertà, la cui trasformazione in Sinistra italiana 
non ha certo fatto dimenticare dieci anni di «non voglio un partito ma 
riaprire partita», cioè di subalternità, a livello nazionale e locale, 
al Pd.
Ma perseverare è diabolicum e ancora dopo il 4 marzo c’è 
stato chi, in area Leu, è tornato ad insistere su «un nuovo 
centro-sinistra», magari senza più le politiche neo-liberiste e 
anti-Labour degli ultimi decenni. Ma non c’è centro-sinistra fuori di 
queste politiche! Storicamente dall’Ulivo al Pd di Renzi, dalle regole 
di Maastrich al pareggio in bilancio in Costituzione, il centro-sinistra
 italiano non è mai stato altro da quelle politiche. Altro è invece 
rifondare la sinistra e poi immaginare un inedito programma fra autonomi
 e diversi. Rifare la strada inversa: da «cricca» a «partito», ad una 
«azione politica» strategica e di alternativa.
Altrimenti gli 
elettori l’antidoto lo trovano a modo loro. Premiando quelli che 
sembrano più netti nella ripulsa delle politiche di precarizzazione del 
lavoro e della vita e punendo chi certe politiche le ha incarnate: dal 
Pd a Forza Italia, ma anche i partiti socialisti e conservatori europei.
 In mancanza di una alternativa di sinistra, di una sinistra dopo il 
centro-sinistra, di un socialismo dopo la «Terza Via», certe domande e 
bisogni popolari vengono sospinti nella direzione peggiore, quella dei 
populismi, dei nazionalismi, dei razzismi, addirittura dei rigurgiti 
fascisti.
Non serve abbandonarsi alla «melanconia» o al fatalismo.
 Nella storia come in politica c’è sempre una alternativa. Le energie ci
 sono. La grande vittoria al referendum del dicembre 2016, dimostra che 
l’opinione pubblica ha capacità, proprio nei momenti topici, di cogliere
 l’essenziale, in primis la difesa della democrazia e della 
Costituzione, quando invece le élites e i «radicali di sinistra» la 
considerano perduta e compromessa.
Ma la classe politica che ha 
governato la sinistra negli ultimi trent’anni non ha nessun titolo per 
dare del populista al popolo sovrano. Si disponga piuttosto umilmente 
all’ascolto.
 
