il manifesto 4.5.18
Renzi comanda, il Pd obbedisce, urne più vicine
di Norma Rangeri
Un
 partito con le ossa rotte, messo di fronte «a una sconfitta storica», 
attraversato da «odio e attacchi feroci», come ha detto ieri il reggente
 Martina introducendo i lavori della direzione, si ricompatta malamente 
dietro un voto che certifica la linea di Renzi. All’unanimità. Il 
perdente di successo dimostra di portare il Pd dove vuole. Probabilmente
 alla stazione finale, al fallimento della ditta, vista la lunga teoria 
di sconfitte incassate in questa legislatura. Prima o poi questo lutto 
andrà elaborato, ma niente del genere è neppure iniziato alla direzione 
del Pd. Dove purtroppo si è replicato il solito copione: Renzi comanda ,
 gli altri obbediscono.
L’ex segretario ha raggiunto i suoi due 
obiettivi. Ha spostato l’ordine del giorno facendo saltare la possibile 
trattativa di governo tra Pd e 5 Stelle che lo avrebbe visto ai margini.
 E, secondo obiettivo, ora può predisporsi a gestire la nuova fase che 
prelude alle prossime elezioni. Se e con quali modifiche alla leggere 
elettorale lo sapremo presto. Perché un nuovo governo, semmai vedrà la 
luce, avrà vita assai breve e l’aperta lotta tra le correnti del Pd 
semplicemente si trasferirà sulle future liste elettorali.
L’ex 
segretario ha archiviato brutalmente ogni ipotesi di dialogo con i 
5Stelle. La tanto osteggiata discussione con i pentastellati, attorno a 
un tavolo di programma, certo non lo avrebbe visto come protagonista, 
relegandolo invece nel ruolo di sconfitto. E avrebbe allontanato le 
elezioni.
Renzi ha chiuso la porta in faccia all’ultimo tentativo 
messo in campo da Mattarella, e aperto una fase politico-istituzionale 
avvolta nelle nebbie. Dalle quali si riaffacciano animali di palude come
 «i responsabili» di Berlusconi.
Il capo dello stato chiederà ai 
partiti e ai gruppi parlamentari per l’ultima volta se hanno una 
maggioranza, chiederà di mettere le carte in tavola, tentando, non si sa
 con quale esito, di porre fine a uno stallo per condurre il paese fuori
 dalla palude.
Ma qualunque coniglio uscirà dal cappello di 
Mattarella, non sarà l’accordo, fin qui sollecitato dal Colle, tra le 
forze politiche uscite dalle urne del 4 marzo.
 
