Corriere 4.5.18
Le angosce dem, un partito lacerato sulla conta
di Pierluigi Battista
Un
partito assediato, impaurito, avvitato su se stesso. Negli anni passati
telecamere e riflettori sembravano proiettare le luci sulla ribalta del
Nazareno, cuore e palcoscenico della politica italiana dell’epoca
renziana. Oggi, qui all’esterno del Nazareno, la ressa di telecamere,
taccuini, giornalisti, curiosi che spintonano, gente della base in
fermento, tutto questo viene sentito come una minaccia dai dirigenti che
entrano nella sede del Pd alla spicciolata, nervosi, il volto
contratto.
Si avverte l’angoscia di chi scorge in ogni passante un
possibile contestatore, il seguace di una corrente avversa, un
militante inferocito. Con Gianni Cuperlo che viene apertamente
affrontato: come se fosse davvero Cuperlo, il responsabile primo di una
disfatta storica.
Entrano, i membri della direzione del Pd, e
sembra che tra di loro si sia spezzato l’ultimo filo che li unisce
sentimentalmente, con l’emozione primaria di un popolo che sente di
appartenere a una stessa comunità. Oggi, davanti al Nazareno sotto
assedio, si guardano in cagnesco. E non sapendo più su cosa litigare e
lacerarsi, litigano e si lacerano sulla conta, sui calcoli, sui numeri
da incolonnare. Su quali contenuti? Mistero. Per quale linea politica?
Mistero. Oramai la sortita televisiva di Matteo Renzi, segretario
dimissionario ma potentissimo capofazione, ha reso obsoleto l’ordine del
giorno in cui si contemplava la sola ipotesi di aprire un canale di
dialogo con il Movimento 5 Stelle. Non era proprio il massimo per un
partito che ha vissuto una cruenta disfatta, ridotto ai minimi termini
come del resto tutte o quasi tutte le sinistre in Europa (e non solo in
Europa). Ma almeno una discussione così poteva essere lo scontro tra
visioni diverse, culture diverse, sensibilità diverse, progetti diversi.
Prosciugata invece ogni fonte di discussione, con una base militante
sempre più esigua e sempre più frastornata, delusa, bastonata, il
partito si divide sulla «conta», con una spaccatura insanabile, e
soltanto superficialmente mitigata da tregue vere o presunte, su
questioni che sono sempre più interne, sempre più appannaggio di un
partito schiacciato nell’aria viziata della sua angusta interiorità,
senza finestre da cui far entrare aria nuova, come se la presenza
tumultuosa che si respira all’esterno del Nazareno fosse foriera di cose
brutte, di problemi ulteriori, di amarezze senza fine. E allora ci si
divide, ma su cosa? E allora, per usare l’espressione adoperata dal
reggente Martina, ci si dilania in «odi» che non solo sfiorano, ma che
diventano «ferocia» pura, ma perché? Riuniti là dentro, ma spaccati da
un odio feroce, ma su cosa discutono i rappresentanti della Direzione
del Partito democratico che nel 2014 aveva raggiunto l’impresa del 40
per cento dei voti e che solo quattro anni dopo, saltellando di
sconfitta in sconfitta, si è consumato fino alla desolante cifra sotto
il 20 per cento, meno della metà? Discute, si lacera, si dilania sulla
«conta». Con gli interrogativi supremi che diventano: se contarsi, come
contarsi, quanto contarsi, dove contarsi. E tutto per vedere quanto
conta il segretario reggente rispetto al segretario dimissionario.
E
tutta questa ressa di telecamere e taccuini, e urla e contestazioni,
che circonda e avvolge il vertice del Nazareno sembra concentrata qui
per una discussione che non avviene, per un progetto lasciato per aria,
per una divisione vera che non si avvera. Ma deve appassionarsi sulla
«conta», come se il mondo là fuori non esistesse più, come se le
periferie da cui il Pd è stato brutalmente accompagnato fuori si
contorcessero dalla passione per sapere chi conta che cosa. Un’atmosfera
di irrealtà, di sospensione di ogni legame con le cose di questo mondo,
stagna su un partito asserragliato lì dentro, diviso dal mondo reale da
un cordone di polizia che meritoriamente mantiene l’ordine. Non si
discute del governo, con chi e per fare qualcosa, figurarsi se si
discute di un’identità scossa e in crisi, allora ci si accapiglia su
statuti, commi, regolamenti, modalità di conteggio, come se di una
partita di calcio ci si appassionasse non del gioco ma delle regole che
dovrebbero consentirne il decente svolgimento. Giusta l’attenzione alle
regole, ma il gioco? Giusto parlare dello statuto del Pd, ma il Pd che
deve diventare, che vuole fare, con chi, con quali obiettivi.
E
invece, inutile girarci attorno, aleggia addirittura il fantasma di una
scissione, la sensazione quasi fisica, che i militanti del Pd che
stazionano fuori del Nazareno avvertono con angosciata chiarezza, di due
partiti in uno, in una convivenza sempre più precaria e burrascosa,
come se la sostanza dei rapporti umani, anche quella, fosse ormai
intaccata e nessuno si fida più dell’altro, tutti sentono l’altro come
un peso e un ostacolo. Che poi alla fine arriva la tregua, che è solo il
rimandare la resa dei conti. Quelli veri, non quelli della conta.