il manifesto 3.5.18
La “storia” di Abu Mazen, frasi antisemite di un presidente finito
Israele/Palestina.
Le considerazioni del leader dell'Anp sugli ebrei come causa, per le
loro attività bancarie e finanziarie, dell'Olocausto hanno scatenato
reazioni globali. Il premier israeliano Netanyahu non aspettava altro
per demolire la sua immagine e quella dei palestinesi
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Abu Mazen non è un antisemita. La sua storia politica e personale – nel
2014 condannò l’Olocausto come il crimine più odioso in risposta a chi
gli contestava le tesi contenute del suo controverso dottorato su
Israele – dice non è contro gli ebrei e neppure contro lo Stato di
Israele con il quale, invano, ha cercato di raggiungere un accordo per
25 anni. Piuttosto il presidente palestinese è uno ”stolto”, e abbiamo
scelto un termine soft al posto di altri più appropriati. Uno stolto
per ciò che ha detto sulle ragioni dietro l’Olocausto nel suo discorso a
Ramallah davanti al Consiglio nazionale palestinese. Uno stolto per i
danni d’immagine, e non solo, che ha provocato al suo popolo, esposto
ieri ad accuse ingiuste, senza fondamento, da parte di chi non perde
occasione per disumanizzarlo. Abu Mazen da lungo tempo è inadeguato
alla carica di presidente del popolo palestinese. E con quest’ultima
uscita ha confermato di essere dannoso per la sua gente. Se fosse nel
pieno delle sue facoltà capirebbe che l’unica soluzione è farsi subito
da parte e lasciare ad altri il compito di ridefinire strategie e
politiche volte a liberare i palestinesi.
All’inizio del suo
discorso Abu Mazen ha fatto riferimento al Sionismo e alla creazione
dello Stato per gli ebrei come a un progetto coloniale. Su questo il
dibattito storico in effetti è aperto da lungo tempo. Persino alcuni
accademici israeliani ebrei di fama internazionale, come Ilan Pappè,
affermano che il Sionismo fu un movimento coloniale e non solo
nazionalista come invece, per decenni, ha ripetuto la storiografia
ufficiale. Poi Abu Mazen ha dato a chi lo ascoltava quella che ha
descritto come una «lezione di storia» affermando che lo sterminio degli
ebrei, l’Olocausto, non fu causato dall’antisemitismo di Hitler e dei
nazisti ma dalla «funzione sociale» degli ebrei legata alle loro
professioni che riguardavano il prestito di denaro e le banche. Un
classico stereotipo antisemita che ha scatenato reazioni a raffica, in
Israele e in Occidente. Abu Mazen che guarda all’Europa ed agli Usa per
garantire la sopravvivenza dell’Autorità nazionale palestinese
impopolare e sottomessa a Israele, non sa che questi temi toccano le
corde più sensibili in Occidente. Ha scatenato la hasbara (la
diplomazia pubblica) israeliana con il suo comportamento abituale: non
ascolta, non si consulta prima di agire, non tiene in considerazione le
decisioni degli organi istituzionali palestinesi. Ai membri del
Consiglio Nazionale che si è riunito lunedì a Ramallah, Abu Mazen non
avrebbe dovuto dare delle «lezioni di storia» ma annunciare nuove
strategie alternative agli Accordi di Oslo, la volontà di andare ad una
riconciliazione vera e defintiva fra tutte le fazioni politiche
palestinesi. Avrebbe dovuto proporre nomi nuovi per rinnovare la
leadership, chiedere spazio per i rappresentanti del movimento popolare
palestinese che vediamo in azione in queste settimane a Gaza. Avrebbe
potuto dichiarare la fine del suo embargo di Gaza – basta quello
israeliano ed egiziano – o, rispettando ciò che da anni gli chiede la
sua gente, sospendere la cooperazione tra i servizi segreti dell’Anp e
di Israele. In assenza di tutto ciò le sue dichiarazioni secondo cui la
strada per lo Stato palestinese passerà attraverso la lotta popolare
non armata in parallelo con passi diplomatici, non solo altro che frasi
cerimoniali.
Il primo ministro israeliano Netanyahu, invitato a
nozze, lo ha fatto a pezzi. «A quanto pare il negazionista
dell’Olocausto è ancora un negazionista dell’Olocausto. Invito la
comunità internazionale a condannare il grave antisemitismo di Mahmoud
Abbas (Abu Mazen). Con un picco di ignoranza e faccia tosta, ha
dichiarato che gli ebrei d’Europa non son stati perseguitati perché
ebrei, ma perché prestavano denaro su interesse», ha detto Netanyahu,
che sa bene che anche per questi temi passa la demolizione dei diritti
dei palestinesi. Qualche anno fa Netanyahu definì il mufti islamico di
Gerusalemme Hajj Amin al Husseini, un accanito oppositore della
fondazione di Israele, l’ispiratore della “soluzione finale”, lo
sterminio del popolo ebraico messo in atto da Hitler. Una tesi smentita
da storici israeliani ed ebrei ma che ha lasciato il segno. Simili le
condanne giunte da altri esponenti israeliani. Poi è stata la volta
dell’amministrazione americana, con la quale i palestinesi hanno rotto i
rapporti dopo che in dicembre Trump ha riconosciuto Gerusalemme come
capitale d’Israele. «La pace non si può costruire su queste
fondamenta», ha scritto su Twitter l’inviato americano per i
negoziati, Jason Greenblatt. L’Unione europea da parte sua ha detto di
considerare “inaccettabili” le dichiarazioni fatte dal presidente
palestinese. «Questa retorica – ha scritto l’Ue – farà soltanto il
gioco di chi non vuole una soluzione con due stati, che Abbas ha
ripetutamente sostenuto».