il manifesto 30.5.18
Il vicolo cieco
di Norma Rangeri
Il
Quirinale come la fossa delle Marianne. Chiunque si avventuri nella
formazione di un governo rischia di scomparire. Cottarelli, l’uomo del
Fondo, annaspa alla ricerca di generosi tecnici o politici in pensione
purché disposti a fare la parte ingrata di chi sale sul palcoscenico per
recitare una battuta tra i fischi della platea per poi tornarsene ai
propri uffici spernacchiato e senza neanche la ricompensa di una
candidatura alle elezioni.
Il presidente incaricato, con il suo
troller ieri è tonato da Mattarella, non per consegnare la lista dei
ministri ma per chiedere qualche ora supplementare per riuscire
nell’impresa di completare l’elenco. La confusione è giunta al punto da
rendere credibili anche le voci di una riesumazione in extremis dell’ex
incaricato Conte.
Le voci, poi smentite, di una possibile rinuncia
all’incarico hanno accelerato la corsa verso il big-bang elettorale tra
fine luglio e i primi di agosto, per poi tornare in agenda alla casella
di metà settembre. Del resto prima si apriranno le urne e prima si
metteranno al riparo «i mutui degli italiani», come direbbe il
presidente Mattarella. Anche perché evidentemente non era il professor
Savona l’obiettivo del partito dei falchi tedeschi, dal quale continuano
ad arrivare bastonate come quella del commissario al bilancio
dell’eurozona, Oettinger («i mercati insegneranno agli italiani a votare
nel modo giusto»). Con le agenzie di rating che danno una mano
preparando l’artiglieria del declassamento del nostro debito mentre lo
spread suona la tromba dell’escalation. È già successo e per di più
oggi, a differenza del 2011, stiamo per infilarci in una campagna
elettorale che, si voti a luglio o a metà settembre, provocherà un
quarantotto, diverso e più forte del terremoto del 4 di marzo.
Tutte
le principali forze politiche chiedono di andare al voto rapidamente,
senza protrarre lo sfinimento di un governo votato da nessuno, neppure
dal Pd. Il momento di estrema debolezza, politica e istituzionale, ci
rende vulnerabili e esposti a tutti i venti, con i titoli bancari che
sprofondano. Situazione ben presente al governatore di Bankitalia in
prima linea sul fronte del credito, preoccupato per la «delicatezza e
straordinarietà del momento».
C’è chi il voto lo vorrebbe già
domani e chi è costretto a fare buon viso. Come il Pd che tenta di
rimettere insieme i pezzi del centrosinistra irridendo al ruolo di LeU.
Qualcosa si muove, invece, in casa grillina. Il M5S ascolta i consigli
di Grillo, mette la sordina all’impeachment, e accoglie l’invito alla
moderazione, a non esasperare i toni perché «l’intervento
dell’establishment fa parte del gioco». Tanta improvvisa moderazione
arriva al punto che Di Maio torna a chiedere l’aiuto di Mattarella per
resuscitare il governo giallo-verde. L’esercito del 32% si muove su un
terreno accidentato, complicato dal fatto che Salvini è l’unico ad avere
due forni caldi e la spinta dei sondaggi. Il regalo di evitargli la
prova del governo, avergli dato la patente di grande nemico
dell’austerità tedesca lo ha messo ancora più al centro della scena
nella parte della vittima dei cosiddetti poteri forti.
Altro che un’arma in più nelle mani della destra, qui, purtroppo, gli stiamo offrendo un arsenale.