il manifesto 30.5.18
La speranza di Bauman in un altro mondo
Saggi. «Socialismo utopia attiva», un saggio del sociologo polacco scritto nel 1976 e finalmente tradotto da Castelvecchi
di Piero Bevilacqua
Ciò
che innanzi tutto stupisce il lettore un po’ informato sulla vita di
Zygmunt Bauman, nel leggere questo Socialismo utopia attiva, tradotto
ora per la prima volta in Italia (Castelvecchi, pp.181, euro 17.50 ), è
l’intatta passione ideale che l’ispira. L’autore, ebreo polacco, scrisse
questo testo nel 1976, quando ormai viveva da 5 anni nel Regno Unito,
dopo aver perso la cattedra all’Università di Varsavia. Di formazione
marxista e politicamente attivo sin dalla giovinezza, egli aveva
sperimentato sulla propria vita le durezze del regime comunista polacco.
E
tuttavia, nulla della propria scomoda vicenda biografica – come accade
solo ai grandi pensatori – fa ombra al nitore della riflessione teorica
sulla necessità dell’utopia socialista. D’altra parte egli possiede
tutti gli strumenti, sia teorici che storici, per comprendere i limiti
giganteschi entro cui dovette muoversi la Rivoluzione d’Ottobre, e che
il socialismo realizzato del suo paese e del blocco sovietico dovette
pesantemente scontare. «Marx – ricorda Bauman – non credeva che il
socialismo sarebbe arrivato prima che il capitalismo avesse “esaurito”
il proprio potenziale creativo e riteneva che questo potenziale bastasse
a elevare le forze produttive a livello dell’abbondanza.In questo
senso, il socialismo può essere collocato direttamente nell’ambito
politico e culturale dell’organizzazione sociale. Diventerà infatti
possibile solo dopo che il capitalismo, alla sua maniera brutale e
spietata, avrà liberato la società dalla scarsità economica e, di
conseguenza, dall’asservimento alla Natura e alla necessità».
IL
PRIMO ESPERIMENTO di rivoluzione marxiana della storia, condotto in un
paese arretrato come la Russia, dovette tuttavia cercare strade non
previste da Marx. Lenin e i suoi compagni dovettero far leva, per i
propri scopi insurrezionali e per l’edificazione di una nuova
organizzazione sociale, su una massa sterminata di contadini. Quei
contadini, piccoli proprietari terrieri, la cui sparizione sociale era,
nella previsione teorica di Marx, condizione del passaggio al
socialismo.
BAUMAN SEGUE molto sinteticamente in un capitolo
apposito, e a un livello teorico-culturale, il modo in cui il socialismo
si afferma in Russia e nei paesi satelliti. E non manca di pervenire a
una valutazione d’insieme, storica e attuale, sull’ Urss del suo tempo,
di aperta disillusione: «Invece di aprire le finestre della storia su
distese incredibilmente vaste di libertà umana, il socialismo sovietico
non è riuscito nemmeno a conseguire la forma limitata e incompleta di
libertà personale che la formula liberale della cultura capitalistica
garantisce. Anche al più ben disposto, pronto a minimizzare i campi di
lavoro e le cacce alle streghe come incidenti occasionali e atipici, la
libertà presente nella vita quotidiana sovietica deve apparire misera e
penosa».
E TUTTAVIA, proprio questa amara, profonda consapevolezza
dei limiti e degli errori, anche tragici, di quella esperienza,
fornisce oggi alle sue riflessioni sulle ragioni dell’utopia e del
socialismo una freschezza sorprendente. Parlano un linguaggio di
speranza e di liberazione in un mondo sprofondato nella confusione.
Sarebbe più giusto dire un mondo in cui gli «invisibili vessatori» –
espressione di un Bauman più recente – alzano cortine fumogene per
confondere le tracce delle loro scorrerie e del loro dominio. La
confusione sotto il cielo è creata ad arte da chi vuol nascondere la
frattura profonda fra chi domina e chi è dominato.
Il sociologo
polacco smonta l’uso negativo, tanto colto che banale, del termine
immesso nella cultura dell’Occidente da Tommaso Moro. Utopia diventa il
lemma per designare, col senno di poi, l’impresa troppo ardita e non
riuscita, il progetto fallito, insomma l’aspirazione impossibile. Al
contrario, essa alimenta, l’immaginazione del sociale possibile, oltre
le condizioni del presente, infrange il dominio apparentemente
schiacciante dell’ordine costituito. E oggi, aggiungiamo noi, consente
di liberarsi dall’utopia negativa, dall’ideologia camuffata del «non c’è
alternativa», di rompere le gabbie di un ordine sociale preteso
immodificabile in quanto «naturale», l’unico possibile.
L’UTOPIA è
dunque l’orizzonte che muove gli uomini, perché in grado di far sentire
la propria vita sociale come progetto, proiezione creativa verso un
possibile mondo migliore. In una società in cui il «futuro» delle ciance
politiche e pubblicitarie ( hanno talora la stessa menzognera
semantica) è affidato all’uscita sul mercato dell’ultimo modello di
smartphone, il ritorno dell’utopia socialista costituisce un antidoto
culturale e politico di prima grandezza. Si tratta, d’altra parte, di un
aspetto ineliminabile della storia umana. Lasciamolo dire a Bauman:
«Credo che non si possa comprendere realmente la vita sociale se non si
presta la dovuta attenzione al ruolo fondamentale giocato dall’utopia.
Le utopie si pongono, rispetto alla totalità della cultura – per
parafrasare Santayana – come un coltello con la lama rivolta contro il
futuro. Esse provocano costantemente la reazione del futuro sul presente
producendo così la nota miscela nota come storia dell’umanità».