il manifesto 24.5.18
Aborto, Belfast in alto mare. Senza governo né legge
Irlanda
del Nord. I partiti principali hanno posizioni ambigue, solo i Verdi
spingono per applicare le leggi vigenti nel Regno Unito
sull'interruzione di gravidanza. Sinn Féin, da sempre prudente, sta
cambiando approccio grazie alla neo presidente Mary Lou MacDonald
di Enrico Terrinoni
La
Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, divise come sono da un
confine ancora per poco invisibile, quando si tratta del diritto delle
donne ad abortire, si presentano perfettamente unite e coese. Tuttavia,
se a Sud si terrà domani il referendum per l’abrogazione dell’ottavo
emendamento al fine di consentire, anzi obbligare, governo e parlamento a
legiferare su questa materia estremamente spinosa, la discussione se
estendere o meno al Nord l’Abortion Act in vigore in Gran Bretagna
appare ancora in alto mare.
A Belfast e dintorni, infatti,
l’interruzione di gravidanza è consentita soltanto se a rischio sia la
vita della donna, o in caso di pericoli per la sua salute fisica e
mentale. In Inghilterra, Galles e Scozia, la legislazione sull’aborto
risale al 1967, ma per riserve principalmente di tipo religioso, non è
mai stata recepita dal parlamento nordirlandese.
Come nella
Repubblica, anche al Nord è pratica comune quella di attraversare il
canale di San Giorgio per interrompere gravidanze indesiderate. Ma una
volta approdate, le cittadine nordirlandesi non hanno gli stessi diritti
delle compatriote britanniche, in quanto per loro i costi dell’aborto
non sono sostenuti dal sistema sanitario di stato. Il che ha ovvie
ricadute sociali anche in termini di maggiore impatto e disagio per le
classi più povere.
Sebbene sin dal 2010 il Parlamento di Stormont,
Belfast, abbia ricevuto, nell’ambito della devolution, il mandato di
legiferare in materia, solo dal partito dei Verdi è giunto un appoggio
totale ad applicare le leggi vigenti nel Regno Unito. Molto più ambigue
sono parse le posizioni dei partiti principali. Se da un lato è scontata
l’ostinata contrarietà all’aborto della destra unionista, più
opportunista è sembrato negli anni l’atteggiamento di Sinn Féin. Il
partito repubblicano si diceva restio, fino a poco tempo fa – e sempre
per rispetto dei legami con una comunità che a torto o a ragione si
identifica con una precisa confessione religiosa, quella cattolica – a
dare direttive chiare al proprio elettorato.
Le cose però stanno
cambiando velocemente. Ne è dimostrazione l’approccio molto meno rigido a
riguardo da parte di Mary Lou MacDonald, la neo presidente del partito,
succeduta allo storico leader Gerry Adams. La campagna a favore del Sì
che sta portando avanti McDonald, da un lato ha fatto emergere alcuni
contrasti interni a Sinn Féin tra tradizionalisti e progressisti,
dall’altro ha portato il tema alla ribalta dentro il partito.
Ma
se è vero che dei 23 deputati di Sinn Féin al parlamento di Dublino,
sono 21 quelli a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento, alla
domanda ben più complessa riguardante la proposta di legalizzare
l’aborto con una richiesta che pervenga entro la dodicesima settimana, a
dichiararsi favorevoli sono soltanto in 8 (tra cui McDonald), mentre a
non voler palesare il proprio intento sono in 13 (tra cui Adams). Due
deputati sono invece contrari a entrambe le istanze.
I mutati
equilibri fanno pensare i più maligni tra i commentatori politici
irlandesi che Sinn Féin stia ponendo le basi per un accordo con le forze
governative, e questo all’insegna di una strategia che persegue una
maggiore centralità istituzionale mirata – ma questa è da sempre anche
la strategia di Adams – ad andare al governo sia a Sud che a Nord.
Intanto,
il deficit democratico in Irlanda del Nord continua, con lo stallo in
cui si trova da molti mesi il parlamento, con l’assenza da oramai quasi
un anno e mezzo di un governo misto, e con i negoziati sul confine tra
Nord e Sud arenati nella più ampia palude dell’implementazione del
Brexit. Chissà che almeno su un’altra frontiera, quella dei diritti
delle donne, non sia per una volta la Repubblica a mandare segnali di
progresso e libertari, a un Nord sempre più diviso e arroccato su
posizioni di inconciliabile mancanza di dialogo.