giovedì 24 maggio 2018

il manifesto 24.5.18
Referendum sull’aborto, l’Irlanda prova a cambiare
Ottavo emendamento. In marcia con le attiviste per il diritto di scelta. Venerdì si vota, una campagna aggressiva potrebbe non bastare agli anti-abortisti, i sondaggi danno in testa la vittoria del Sì all'abrogazione
di Vincenzo Maccarrone


DUBLINO È una domenica grigia mentre il corteo a favore del diritto all’aborto si dirige verso l’aeroporto di Dublino. La destinazione non è casuale: migliaia di donne ogni anno devono partire per ottenere legalmente un’interruzione di gravidanza, vietata sul suolo irlandese. Sono state 3.265 nel solo 2016, una media di nove al giorno. Quelle che non possono permettersi di andare all’estero, per difficoltà economiche o perché prive di visto, sono invece costrette a comprare illegalmente la pillola abortiva su internet, rischiando fino a 14 anni di carcere.
In pochi giorni le cose potrebbero però cambiare: domani gli elettori irlandesi saranno infatti chiamati a votare per decidere se abrogare (Repeal) o meno l’ottavo emendamento della costituzione irlandese che, equiparando i diritti della madre a quelli del feto, rende di fatto l’aborto illegale in qualsiasi situazione (compreso lo stupro) a meno che la madre non sia in pericolo di vita. La “blindatura” costituzionale del divieto all’aborto fu introdotta nel 1983 tramite un referendum promosso da una serie di organizzazioni cattoliche conservatrici, spaventate dall’ondata di leggi a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza varate in Europa e negli Stati uniti nella decade precedente.
All’epoca l’influenza della chiesa cattolica sulla società irlandese era ancora molto forte, ma le cose da allora sono cambiate, dopo che l’emersione di una serie di casi di pedofilia e abusi ne hanno minato fortemente la credibilità. «L’idea di controllo sulle donne che c’era allora oggi non è più possibile», dice Ruth Coppinger, deputata socialista e fervente sostenitrice del Repeal. Ma mentre uno storico referendum nel 2015 ha introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la legislazione sull’aborto è progredita ancora più lentamente. La possibilità di ottenere legalmente un’interruzione di gravidanza recandosi all’estero è stata introdotta solo nel 1992, a seguito del caso di «Miss X», una ragazza di soli 14 anni incinta a seguito di uno stupro, che i genitori volevano portare nel Regno Unito per abortire dopo che aveva minacciato il suicidio. Nel 2012 la morte di Savita Halappanavar, una dentista indiana residente in Irlanda, sconvolse il paese. La donna incinta morì di setticemia dopo il rifiuto dei medici di praticarle un aborto. «La morte di Savita – continua Coppinger – è stata certamente uno dei punti di svolta che ha portato verso il referendum». «Più di 20mila persone scesero spontaneamente in strada», racconta Laura, un’attivista di Rosa, l’organizzazione femminista che ha organizzato la marcia. Questa settimana i genitori di Savita hanno inviato un videomessaggio dall’India, invitando a votare per l’abrogazione dell’ottavo emendamento.
Mentre marciamo, un uomo in bicicletta ci urla che abbiamo tutti subito un lavaggio del cervello. La campagna degli anti-abortisti è stata estremamente aggressiva. Poster con le immagini di feti insanguinati sono stati esposti davanti a scuole e ospedali. Sui manifesti per il No al Repeal campeggiano statistiche fuorvianti, volte a incrementare le ansie di una popolazione che, ricorda Coppinger, non ha ricevuto un’educazione adeguata su queste tematiche fino agli anni recenti. Uno dei cartelloni della campagna anti-abortista recita ad esempio che in Gran Bretagna «il 90 per cento dei bambini con la sindrome di Down viene abortito». Ma al di là della veridicità (contestata) di questo dato, l’Istitute of Obstetricians and Gynaecologists ha certificato che è molto difficile che venga fatta una diagnosi sulla sindrome di Down entro 12 settimane dal concepimento, ossia il termine previsto per l’interruzione di gravidanza dalla bozza di legislazione che verrebbe approvata se al referendum vincesse il Repeal.
La campagna per l’introduzione del matrimonio fra persone dello stesso sesso nel 2015 aveva potuto far leva sulla tematica dell’amore. Ci hanno provato anche gli anti-abortisti che per questa occasione hanno coniato lo slogan «love both», ama entrambi, mamma e bambino. Per far fronte a questo tipo di comunicazione, la campagna ufficiale per il Repeal – che comprende un fronte molto ampio di partiti e associazioni – ha impostato il proprio messaggio sul tema della «compassione» o della salute, mentre messaggi sull’autodeterminazione delle donne sul proprio corpo appaiono solo sui poster di organizzazioni più radicali come Rosa.
Il rischio, sottolineato da varie attiviste, è che una campagna impostata in questa modo porti a possibili marce indietro in parlamento sulla bozza che prevede la possibilità di abortire senza condizioni fino a 12 settimane, che il governo guidato dal partito conservatore Fine Gael, si è impegnato a presentare in caso di vittoria del Repeal. «Per evitare ribaltoni l’unico modo sarà quello di tenere alta la pressione sul parlamento anche dopo il referendum», dice Antonella di Merj, un’organizzazione di migranti e minoranze etniche che si batte per i diritti riproduttivi in Irlanda. In ogni caso, deputati pro-aborto dell’opposizione come Ruth Coppinger e il suo collega di partito Paul Murphy si dicono ottimisti sull’approvazione della legge, specie se il Repeal dovesse ottenere una maggioranza consistente.
Al momento i sondaggi danno il Repeal in netto vantaggio, anche se la percentuale di indecisi rimane alta. Mentre nelle aree urbane il Sì all’abrogazione appare largamente in testa, nelle aree rurali la situazione è più incerta, data anche l’età media più avanzata. Le attiviste sottolineano che negli ultimi giorni sarà fondamentale lavorare per contrastare le paure ispirate dai movimenti anti-abortisti. Ma le sensazioni di chi ha fatto campagna sul campo nelle ultime settimane sono cautamente positive. Il 25 maggio si potrebbe finalmente porre fine a una parte buia della storia irlandese.