sabato 19 maggio 2018

il manifesto 19.5.18
Venezuela al voto, Maduro sfida gli Usa e l’astensione
Domenica la sfida presidenziale. Il presidente «Nico» insidiato dall'ex chavista Henri Falcón. Le opposizioni riunite nella Mud boicottano le urne. In agguato Casa bianca e destre latinoamericane
di Roberto Livi


Gli ultimi a esprimersi per la sospensione delle presidenziali in Venezuela – per «mancanza di garanzie democratiche» – sono stati all’inizio della settimana i vescovi venezuelani. Prima di loro mezzo mondo lo aveva già fatto. L’Occidente – Usa, Ue , destre latinoamericane, ovvero quello che conta e che pretende di mantenere il «suo» ordine – le ha bollate con un marchio di fuoco: «Sono una farsa, una frode».
Nonostante il fuoco di sbarramento internazionale e un’opposizione trincerata sulla linea del boicottaggio, domenica avranno luogo le elezioni presidenziali anticipate. 22 milioni di venezuelani sono chiamati alle urne per decidere chi tra i candidati che sono in lizza – l’attuale presidente Nicolás Maduro in rappresentanza di dieci formazioni riunite nel Fronte amplio della patria, l’ex governatore dello stato di Lara, Henri Falcón (sostenuto da quattro partiti), l’ex pastore presbiteriano Javier Bertucci e l’indipendente Reinaldo Quijada – sarà il prossimo capo di Stato.
Chiusura della campagna elettorale in Venezuela di Henri Falcón a Barquisimeto (foto Afp)
I candidati hanno concluso le rispettive campagne elettorali mercoledì e giovedi. Falcón e Bertucci, entrambi di fronte a una grande folla di sostenitori, hanno esposto i loro programmi sui temi più urgenti in un paese che negli ultimi anni vive in una grave crisi politico-economica e sociale: riconciliazione di tutti i venezuelani, trattative internazionali – specie con gli Usa – per mettere fine alle sanzioni anti governo bolivariano, ricostruire l’economia (il primo con una dollarizzazione). Quijada ha chiuso come in pratica ha condotto la sua campagna: con tweet insistenti sulla crisi morale del Venezuela.
Maduro – dopo aver girato tutto il paese – ha chiuso la sua campagna a Caracas con un gran bagno di folla – otto avenidas della capitale sono state bloccate per contenere i partecipanti. Il suo programma coincide col Plan del Patria 2025, con quattro priorità: il 100% di scolarizzazione (pubblica), raggiungere i cinque milioni di case consegnate ai cittadini dalla Missione casa, rafforzare il Carnet de la Patria per assicurare cibo alla popolazione con prezzi calmierati e «mantenere in marcia la rivoluzione economica» per far fronte «alla guerra economico-finanziaria internazionale».
Due delle più note società di indagine sociale – Ics e Consultores 30.11- danno Maduro in testa (59% e 48,4%) su Falcón (24,45% e 36,3%) e Bertucci (16,2% e 11,7%). Una terza, Datanálisis, dava Falcón di poco avanti a Maduro. Ma «data l’atipicità di queste elezioni, con l’opposizione assente, è difficile fare previsioni accurate».
Grandi folle in camicia rossa – simbolo della rivoluzione bolivariana – che inneggiano al presidente «Nico» (Maduro) e alla continuità del chavismo e foto di cittadini massacrati da un’inflazione a cinque cifre che frugano nell’immondizia per recuperare qualcosa da mangiare. O che fanno la fila al confine col Brasile o la Colombia per lasciare il paese. Due immagini antitetiche e manichee del Venezuela. L’una mostrata dalla tv progovernativa Telesur le altre dai mass media di mezzo mondo oltre che dall’opposizione interna. Riflesso di due politiche – il socialismo del XXI secolo inaugurato dall’ex presidente Chávez e il neoliberismo professato dai vari gruppi dell’opposizione riuniti nella Mud – che sono schierate l’un contro l’altra armate (specie la seconda). E che non sono intenzionate a trovare – ammesso sia possibile – una mediazione. Così, Il probabile successo di Maduro non avrà il riconoscimento del fronte di opposizione Mud e dunque di gran parte dell’America latina oltre che dell’Europa e degli Stati uniti.
L’Amministrazione Trump, dove ai posti di comando sono ex – o attuali – uomini (e donne) della Cia, ha già delegato a Juan Cruz – responsabile della sicurezza per l’Emisfero occidentale – e al suo sponsor nel Congresso, il senatore cubanoamericano Marco Rubio, di tracciare una politica chiaramente intenzionata a cambiare il governo di Caracas. Con maggiori sanzioni e con un intervento diretto – anche militare – in Venezuela. «Dovremo turarci il naso. E trattare con chi preferiremmo castigare» ha affermato l’ex agente Cruz. In chiaro, cercare una sponda tra i militari venezuelani per abbattere Maduro.
L’attuale presidente sembra avere solo una possibilità di costruire un governo abbastanza forte per affrontare l’aggressività di Trump e l’ostilità delle destre latinoamericane e dell’Ue: un’alta affluenza alle urne, ovvero attorno al 70%. Per questa ragione il presidente ha insistito in tutta la sua campagna soprattutto sul tasto della partecipazione al voto: «Scegliete chi volete, ma votate» è stato il refrain di Maduro.
Dall’altro lato l’opposizione ha lanciato un forte campagna per l’astensione e l’Occidente si è detto intenzionato a non riconoscere i risultati dell’«elezione truffa». Se l’astensione raggiungerà –o supererà- il 40% come pronostica l’opposizione per Maduro si annuncia una vittoria di Pirro. Se invece –come affermano le previsioni delle tre società di indagine- l’affluenza supererà il 67% l’attuale presidente potrà, in caso di vittoria, a buona ragione sostenere di fronte al mondo la «legittimità» del suo nuovo mandato. E prepararsi all’offensiva degli Usa e alleati. Come afferma lo scrittore venezuelano Roberto Duque. «Il 20 maggio eleggeremo la possibilità di costruire un altro mondo e un’altra forma di navigare negli incendi della storia (perché è un incendio quello che ci aspetta)».