sabato 19 maggio 2018

il manifesto 19.5.18
«Fake news? La ricerca storica è la risposta»
Intervista. Parla il giornalista e documentarista francese Jean-Christophe Brisard, autore di «L’ultimo mistero di Hitler», oggi a Gorizia per il festival «èStoria»
di Guido Caldiron


Come indagare e raccontare la Storia nell’epoca delle fake news, quando vicende note sono non tanto soggette a nuove analisi, come è proprio della ricerca stessa, ma finiscono al centro di manipolazioni e falsificazioni di ogni sorta? È questa la sfida che ha accompagnato l’inchiesta firmata dal giornalista e regista francese Jean-Christophe Brisard e dalla documentarista russa Lana Parshina, L’ultimo mistero di Hiltler (Ponte alle Grazie, pp. 412, euro 19).
Un libro che attraverso un minuzioso lavoro di indagine, condotto in gran parte negli ex archivi moscoviti del Kgb, dove gli autori hanno potuto esaminare materiali, foto e documenti, spesso fin qui inediti, e un’ampia rilettura del modo in cui la morte di Adolf Hitler è stata oggetto di ricostruzioni interessate da parte dell’intelligence occidentale come del blocco sovietico, contribuisce a scrivere la parola finale su quella vicenda, facendo chiarezza anche su dettagli rimasti fin qui senza risposta.
Tra gli ospiti della XIV edizione del festival internazionale «èStoria», in corso fino a domenica a Gorizia – questo pomeriggio alle 18 si confronterà con lo storico tedesco Thomas Weber, uno dei più noti specialisti della Seconda guerra mondiale -, prima di indagare la fine del capo del nazismo, Jean-Christophe Brisard si è occupato dei «figli dei dittatori» con un volume uscito in Francia nel 2014 e ha lavorato come giornalista d’inchiesta, sia per i magazine francesi che per la televisione, su diverse aree di crisi, dall’America Latina all’Africa, fino alle Coree.
«Quello che a prima vista potrebbe apparire come un paradosso è in realtà una necessità sia del giornalismo investigativo che della ricerca storica», spiega Brisard alla vigilia della sua partenza per l’Italia. «Anche verità storiche che appaiono consolidate, come quelle relative alla fine di Hitler – sottolinea il reporter -, dopo aver subito negli anni scorsi l’offensiva del revisionismo storico e del negazionismo, sono oggi oggetto di ogni sorta di tentativo di manipolazione all’insegna delle teorie complottiste. Tutti sanno che Hitler si è tolto la vita a Berlino, nel bunker della Cancelleria nell’aprile del 1945, ma credo fosse necessario documentarlo concretamente, fornire ulteriori prove per cercare di fermare le speculazioni di ogni genere di cui è piena ad esempio la rete». Per Brisard, un’indagine su un capitolo apparentemente noto del passato, sembra così assumere una sconcertante attualità.
Il giornalista Jean-Cristophe Brisard
«Tra coloro che hanno messo fin qui in discussione la morte di Hitler, non ci sono solo i complottisti, ma anche quanti, estremisti di destra di tutte le tendenze, cercano in qualche modo di riabilitare il nazismo e vorrebbero sia negare che Hitler mise volontariamente fine ai suoi giorni, sia far passare l’idea che sia stato eliminato dall’Armata Rossa o dagli americani : di fronte a queste follie, siamo voluti entrare metaforicamente in qual bunker per ribadire come andarono davvero le cose. Ciò significa infatti fare giustizia dell’alone di supereroismo del quale si ammantava il Terzo Reich e che celava in realtà meschinità personali, una vera mafia al potere e un tragico delirio. Soprattutto ai più giovani, si deve continuare a spiegare fino a che punto quello fu soltanto un regime abbietto e criminale».
Al di là della diffusione del neonazismo o di atteggiamenti nostalgici, l’attenzione per quella tragica stagione della storia europea è però rimasta costante nell’opinione pubblica, come illustra il recente successo di La scomparsa di Josef Mengele, di Olivier Guez (Neri Pozza). «L’Europa sta facendo ancora i conti con i suoi fantasmi», segnala il giornalista, che aggiunge «si cerca di comprendere come possa aver preso forma quel regime e perciò se ne indaga da un lato il consenso popolare, e dall’altro le figure più note che lo caratterizzarono. C’è una certa attrazione morbosa per il male assoluto, ma anche la preoccupazione di non essere mai davvero al riparo da una simile sciagura». Per questo, conclude Brisard, «ho capito che la Storia non può essere lasciata all’Accademia, ma deve scendere in campo per condurre questa battaglia che guarda al futuro, raccontando il passato».