il manifesto 19.5.18
Consiglio Diritti Umani: subito inchiesta su strage a Gaza
Striscia
di Gaza. La risoluzione, contro la quale hanno votato solo Usa e
Australia, è stata respinta da Israele. Anche l'Organizzazione della
conferenza islamica condanna Washington e Tel Aviv. Ieri proteste meno
intense al venerdì della Marcia del Ritorno, forse per una intesa tra
Hamas ed Egitto
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ieri ha dato via
libera a una commissione d’inchiesta chiamata ad indagare sulle
uccisioni di oltre cento palestinesi compiute dal 30 marzo
dall’esercito israeliano sulle linee tra Gaza e Israele e sulle
violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. Ad approvarla sono
stati 29 dei 47 Paesi membri. Scontato il voto contrario degli Stati
uniti così come quello dell’Australia uno dei Paesi più allineati alla
politica di Washington in Medio oriente. Quattordici le astensioni, due
Paesi erano assenti al momento del voto. Rabbiosa la reazione di
Israele. «Nulla di nuovo sotto il sole. L’organismo che si
autodefinisce Consiglio dei diritti umani ha di nuovo dato prova di sè
come organizzazione ipocrita e deplorevole il cui unico obiettivo è
attaccare Israele e sostenere il terrorismo», ha commentato Benyamin
Netanyahu. Il voto è giunto mentre alcune migliaia di palestinesi hanno
di nuovo raggiunto le linee di demarcazione con Israele per il
“Venerdì dei martiri” della Grande Marcia del Ritorno. Le proteste sono
state meno intense e partecipate del solito, in ogni caso ieri sera si
parlava di alcune decine di palestinesi feriti dai proieittili e dai
lacrimogeni sparati dai soldati israeliani.
È dura l’accusa
lanciata ieri dall’Alto commissario per i diritti umani, Zeid Raad al
Hussein, in apertura della sessione del Consiglio. Israele ha
«ingabbiato 1,9 milioni di abitanti nella Striscia di Gaza in una
baraccopoli tossica dalla nascita alla morte», ha denunciato.
L’inviata israeliana a Ginevra, Aviva Raz Shechter, ha replicato
accusando i Paesi membri di voler «potenziare Hamas e premiare la sua
strategia terroristica». Secondo la diplomatica, Israele avrebbe
addirittura fatto «uno sforzo reale per evitare le vittime tra i
civili palestinesi». Due giorni fa il ministro della difesa Lieberman,
anticipando il voto a Ginevra, aveva chiesto l’uscita del suo Paese
dal Consiglio Onu – dimenticando che Israele non ne fa parte – e
sollecitato gli Stati uniti a fare altrettanto, come è avvenuto con
l’Unesco. Una condanna esplicita di Israele e Usa, per i morti di Gaza e
per il trasferismento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, è
stata pronunciata anche a Istanbul dove ieri si è svolta una riunione
straordinaria dei 57 Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione
islamica (Oci) convocata dal presidente turco Erdogan che nel suo
discorso ha detto che «Gerusalemme non può essere lasciata nelle mani
sporche di sangue dello Stato terrorista di Israele». L’Oci ed Erdogan,
almeno nei toni, sono stati più duri della Lega araba che due giorni
fa al Cairo ha condannato la decisione degli Usa di spostare
l’ambasciata a Gerusalemme ma non ha accolto la richiesta palestinese
per il richiamo in patria degli ambasciatori arabi a Washington.
I
limitati “successi” diplomatici ottenuti dai palestinesi non bloccano
la Marcia del Ritorno. Si fanno però insistenti le voci di un accordo
non scritto tra Hamas e l’Egitto per affievolire le proteste lungo le
barriere con Israele, malgrado il leader del movimento islamico, Ismail
Haniyeh, abbia smentito qualsiasi intesa con il Cairo e promesso che
le manifestazioni continueranno. «Andremo tutti, e io prima di voi, al
confine di Gaza. Le marce non si fermeranno sino a quando l’assedio non
sarà completamente rimosso», ha proclamato ieri durante un sermone.
Gli abitanti di Gaza comunque hanno compreso che l’improvvisa
generosità del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che terrà
aperto per tutto il mese del Ramadan il valico di Rafah tra Gaza e
l’Egitto – l’anno scorso in totale è rimasto aperto solo per 35 giorni –
è una contropartita per l’ammorbidimento delle proteste. Ne scriveva
ieri anche il sempre ben informato giornale libanese al Akhbar, secondo
il quale l’accordo prevede il divieto di sfondare la barriera di
separazione e di azioni armate, in cambio di aiuti umanitari. Hamas,
aggiungeva al Akhbar, avrebbe accettato di far partecipare alle
manifestazioni un numero minore di persone e di diminuire i punti di
maggior frizione con i soldati israeliani. L’Egitto da parte sua si
impegnerà per ottenere uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.