il manifesto 17.5.18
Se la responsabilità del filosofo si fa politica all’interno della stessa vita
Scaffale.
«Da Dentro» di Sandro Chignola, per DeriveApprodi. Una raccolta di
saggi che cercano di dare risposta ai problemi che procedono dal modo in
cui l’accumulazione capitalista estrae valore ovunque dall’esistenza
di Toni Negri
Che
cosa significa Da Dentro. Biopolitica, bioeconomia, Italian Theory
(Sandro Chignola, Deriveapprodi, pp.190, euro 17)? Questo titolo, ci
dice Chignola, «rivendica una doppia internità. Quella a un mondo che un
‘fuori’ non lo ha più, e quella a una linea di pensiero,
inseparabilmente teorica e politica assieme, che è stata chiamata
post-operaista, il motore della quale è sempre stata l’assoluta
consapevolezza che è nel campo di immanenza del reale, e non nella
rarefatta atmosfera della chiacchiera più o meno filosofica, che ci si
muove – assumendosi la piena responsabilità di ciò che si scrive e di
ciò che si fa».
QUANDO I DISPOSITIVI dell’accumulazione
capitalista si sono estesi sull’intera superficie del globo, estraendo
valore dalla vita, e i processi di unificazione del mondo, diretti alla
sua mercificazione, hanno ormai ibridato culture e tradizioni di
pensiero, è «da dentro» che la critica deve svolgersi, recuperando un
sguardo di immanenza e disponendolo alla nascita della critica e della
resistenza. È su questa soglia che, di conseguenza, Chignola pone il
punto di trasformazione della filosofia politica: il farsi politico
della responsabilità del filosofo.
I nove saggi che contiene
questo volumetto vogliono così dare una risposta politica a una serie di
problemi, che procedono dalle nuove condizioni (totalità
dell’investimento capitalistico del mondo, responsabilità etica e
soggettivazione politica). E, da principio, Chignola sottolinea che le
problematiche qui toccate (talora raggruppate sotto l’etichetta Italian
Theory) hanno una dimensione che va ben oltre ogni limite nazionale o
locale. Non è un caso se, appunto, l’importanza di questo libro sta nel
fatto che esso rende conto dello spostamento del dibattito filosofico
politico a cavallo del XX e XXI secolo: uno spostamento che è divenuto
una radicale differenza, segnalata da tre passaggi. Chi abbia vissuto
l’ultimo mezzo secolo della discussione sulla natura dello Stato e sulla
crisi della democrazia, non potrà che confermare questa osservazione.
IL
PRIMO PUNTO sul quale questo spostamento è visibile anche allo
spettatore più disattento, è la fine del riferimento, nell’analisi e
nella narrazione della natura dello Stato, a posizioni quali quelle
rappresentate da Carl Schmitt. Contro ogni trascendenza della sovranità
si levano infatti, nella contemporaneità, i dispositivi dell’immanenza:
la natura del potere è strappata a ogni possibile fondamento
teologico-politico e concepita nella pluralità dei rapporti di forza
sociali. La linea che va da Deleuze a Spinoza è qui assunta nella
polemica contro il concetto schmittiano del politico. Con Foucault,
questa riduzione del sistema dei saperi-poteri dello Stato sul terreno
della biopolitica definisce un processo del potere che «investendo
integralmente la vita, mostra la vita stessa come potere». Meglio detto,
dall’altro lato, «la vita non viene mai integrata in modo esaustivo
nelle tecniche che la dominano e la gestiscono da parte del potere». Con
le parole esatte di Foucault, «essa sfugge loro senza posa».
Il
secondo punto, riguarda l’analisi weberiana della razionalità moderna,
nella fattispecie, amministrativa e statuale. Anche questa è prospettiva
ormai caduca: l’introduzione delle tematiche della «governamentalità»
ha distrutto la bella immagine di una legalità includente o comunque
accordata alla legittimità. Su questo terreno, gli studi costituzionali e
politici italiani sono stati per un buon secolo costretti dal pensiero
dominante, fra Croce e Bobbio.
LE ANALISI di Deleuze e Foucault
hanno disarticolato queste antiche forme della normazione e della
vicenda amministrativa dello «Stato di diritto». In un saggio esemplare
della raccolta (In the shadow of the State. Governance,
governamentalità, governo), questo mutamento dell’orizzonte teorico e
questa condizionalità nell’analisi dello «Stato di diritto», vengono
messi radicalmente in discussione. E nei saggi – riprende altrove
Chignola – le immagini della «talpa» e del «serpente» con tanto vigore
segnalano una transizione fra diverse formazioni giuridiche che
corrispondono alla profonda mutazione del capitalismo.
Il terzo
punto – ed è il più forte – riguarda le concezioni metafisiche che
dematerializzano il potere allo scopo di svuotare, con esso, ogni
potenza di resistenza e di rivoluzione. Da Heidegger ad Agamben si sono
susseguiti questi tentativi. Qui la vita, quella vita che è stata
riconquistata come potenza «dentro» la distruzione del
teologico-politico, è invece pensata «come ostaggio del dispositivo di
bando e come irretita dal dispositivo sovrano della Legge, e non come
produttività, divenire, variazione». In questo modo, si pensa alla
biopolitica come «cattura» e non come un processo di soggettivazione
eccedente i biopoteri che la globalizzazione ha formato. Va a questo
proposito sottolineata la rilevanza di un altro saggio qui contenuto:
Sul dispositivo. Foucault, Agamben, Deleuze.
È QUESTA, UNA LETTURA
del concetto di «dispositivo» estremamente importante, perché mette in
azione, sul limite dell’estendersi dei processi di cattura della vita e
di messa a valore della cooperazione sociale, la soggettivazione: è nel
dispositivo che si distende lo sguardo, dall’oppressione attuale alla
resistenza futura, in un continuum di rottura – che rende appunto
politica la critica.
Speriamo di aver chiarito quanto sia
«spietato» il procedere critico di Chignola. Non voglio qui fantasticare
su cosa avrebbe detto un filosofo politico di prima del ’68 dinnanzi a
questo ritratto d’epoca – e dello Stato – che Chignola ci propone. Dire
che lo avrebbe indignato è poco. Avrebbe probabilmente aggiunto, in
un’ipotetica dell’irrealtà, che se quanto affermato da Chignola fosse
avvenuto, la «grande politica» sarebbe estinta… intendendo con ciò cosa
impossibile.
CIÒ È INVECE AVVENUTO: la fine dell’autonomia dello
Stato e di tutti i concetti che lo facevano bello (popolo, nazione,
sovranità ecc.). Eppure, di quelli antichi, un concetto è rimasto vivo
(certo, assai modificato): quello di classe e di lotta di classe, perché
è concetto di soggettivazione (di movimento) nel rapporto antagonistico
aperto nel potere.
Last but not least, la sconfinata letteratura
che Chignola legge e interpreta sta a mostrare l’estrema utilità – oltre
ovviamente al valore – di questo volume.