il manifesto 13.5.18
Pedofilia in Cile, l’esame del papa
Chiesa.
Resa dei conti in Vaticano, Francesco convoca 33 vescovi per i casi di
abusi coperti e insabbiati. La sterzata della Santa sede dopo «i gravi
sbagli di valutazione». Cadranno delle teste?
di Luca Kocci
Tre
giorni a porte chiuse fra papa Francesco e i vescovi cileni, dal 15 al
17 maggio, per affrontare i numerosi casi di pedofilia verificatisi nel
Paese andino negli ultimi anni e che hanno avuto come protagonisti
decine di preti e religiosi. È probabile che salterà qualche testa:
quella del vescovo di Osorno, Juan de la Cruz Barros – il principale
imputato -, ma anche quelle di altri vescovi e prelati le cui
responsabilità e silenzi complici sono stati evidenziati dalle indagini
portate avanti dagli inviati speciali del papa in Cile, monsignor
Scicluna (arcivescovo di Malta) e don Bertomeu (della Congregazione per
la dottrina della fede).
L’ANNUNCIO della riunione riservata fra
Francesco e i vescovi cileni – nell’aria da settimane – è arrivato ieri
dalla sala stampa della Santa sede. Il papa, si legge nel comunicato,
«richiamato dalle circostanze e dalle sfide straordinarie poste dagli
abusi di potere, sessuali e di coscienza che si sono verificati in Cile
negli ultimi decenni, ritiene necessario esaminare approfonditamente le
cause e le conseguenze, così come i meccanismi che hanno portato in
alcuni casi all’occultamento e alle gravi omissioni nei confronti delle
vittime». Parteciperanno 31 vescovi in attività (in tutto sono 33) più
due emeriti (in pensione), e il papa sarà affiancato dal cardinal
Ouellet, prefetto della Congregazione vaticana per i vescovi, il
dicastero che sovraintende ai vescovi di tutto il mondo. L’obiettivo è
«discernere insieme», spiega il comunicato, «la responsabilità di tutti e
di ciascuno in queste ferite devastanti, nonché studiare cambiamenti
adeguati e duraturi che impediscano la ripetizione di questi atti sempre
riprovevoli. È fondamentale ristabilire la fiducia nella Chiesa
attraverso dei buoni pastori» che «sappiano accompagnare la sofferenza
delle vittime e lavorare in modo determinato e instancabile nella
prevenzione degli abusi».
LA STORIA DEGLI ABUSI sessuali in Cile
non comincia oggi, ma è piuttosto vecchia, sebbene sia sempre stata
nascosta sotto il tappeto. Ed è stata aggravata dallo stesso Francesco,
che evidentemente si è reso conto degli errori commessi e che, dopo aver
chiesto pubblicamente scusa, sembra ora intenzionato a correre ai
ripari.
Secondo BishopAccountability.org (un gruppo Usa di
monitoraggio sulla pedofilia) dal 2000 ad oggi circa ottanta preti sono
stati accusati di aver compiuto abusi sessuali su giovani. Lo scandalo
però è esploso nel 2011, quando la Santa sede ha condannato don Fernando
Karadima, per anni parroco a Santiago, pedofilo seriale colpevole di
numerosi abusi su minori. E soprattutto quando papa Francesco ha
promosso da ordinario militare a vescovo di Osorno monsignor Barros,
“discepolo” di Karadima, da molti accusato (insieme ad almeno altri tre
vescovi) di essere stato a conoscenza delle violenze compiute dal suo
maestro.
IN CILE, IN PARTICOLARE ad Osorno, è montata la protesta
dei fedeli. Francesco non solo non è riuscito a placare le
contestazioni, ma anzi ha contribuito ad amplificarle. Prima nel maggio
2017 quando, incontrando a margine di un’udienza in Vaticano alcuni
cattolici di Osorno ha detto loro che contro Barros «non ci sono prove» e
che i fedeli «non devono farsi prendere in giro da quegli stupidi che
hanno montato la vicenda». Poi a gennaio di quest’anno, durante il
viaggio in Cile, quando ha ribadito ai giornalisti che contro Barros
«non c’è una prova, sono tutte calunnie». Affermazione grave (criticata
persino dal cardinale statunitense O’Malley, presidente della
commissione della Santa sede contro gli abusi sui minori voluta proprio
da papa Francesco), parzialmente corretta durante il volo di ritorno da
Lima a Roma ma in maniera maldestra: «La parola “prova” non era la
migliore, parlerei piuttosto di “evidenza”».
SUBITO DOPO FRANCESCO
deve essersi accorto di averla combinata grossa e così ha inviato in
Cile due “investigatori” (Scicluna e Bertomeu) che, dopo aver sentito
oltre sessanta testimoni, hanno presentato al papa un dossier che ha
ribaltato la situazione. Tanto che ad inizio aprile Francesco ha
convocato a Roma alcuni vescovi cileni e ha consegno loro una lettera di
mea culpa. «Riconosco che sono incorso in gravi sbagli di valutazione e
di percezione della situazione, specialmente per mancanza di
informazione veritiera ed equilibrata», ha ammesso il papa, puntando
implicitamente il dito contro chi avrebbe dovuto fornirgli notizie
autentiche e non l’ha fatto, come il cardinal Errazuriz (membro del C9,
il consiglio dei cardinali che sta lavorando con Francesco alla riforma
della Curia romana) e il nunzio in Cile, monsignor Scapolo, grande
sponsor di Barros. E alla fine di aprile ha ospitato in Vaticano tre
vittime del prete pedofilo Karadima, che hanno accolto le scuse di
Francesco ma hanno anche detto di aspettarsi ora delle misure severe nei
confronti di tutti i colpevoli: i vescovi che hanno coperto gli abusi e
i preti che li hanno commessi.
La prossima settimana la resa dei conti in Vaticano con un episcopato cileno più diviso e lacerato che mai.