il manifesto 11.5.18
La decisione di Trump è una pietra tombale anche per l’Afghanistan
Addio
 processo di pace. Sfilandosi dall'accordo sul nucleare iraniano gli Usa
 mettono il governo afghano in una situazione molto difficile. E la 
guerra più lunga mai combattuta dagli Stati uniti continua, a due passi 
dal confine iraniano. Per i Talebani Teheran era già una sponda 
importante, ora lo sarà anche di più
di Giuliano Battiston 
KABUL
 Con la violazione dell’accordo sul nucleare iraniano, Trump mette una 
pietra tombale sul processo di pace in Afghanistan. La guerra afghana è 
derubricata come secondaria, ma rimane la più lunga mai combattuta dagli
 Stati uniti, che qui mantengono soldati, mezzi, basi militari. A due 
passi dal confine iraniano. Insieme alla Siria, è qui che più 
concretamente si vedranno gli effetti della decisione di Trump.
A 
KABUL È ALLARME ROSSO. Già ieri l’Alto consiglio di pace, l’organo che 
ha il compito di favorire il negoziato con i Talebani, ha espresso forti
 preoccupazioni, augurandosi che l’uscita degli Usa dall’accordo 
nucleare non renda più lontana la risoluzione del conflitto. A dispetto 
degli auspici, andrà proprio così.
L’Afghanistan ha sei paesi 
confinanti, ma i due più rilevanti, sul piano politico ed economico, 
sono l’Iran e il Pakistan. Senza la loro collaborazione la guerra non 
potrà concludersi. Attaccando l’Iran, la scelta di Trump prolunga dunque
 il conflitto e fornisce a Teheran un motivo ulteriore per contrapporsi 
alla presenza di Washington nel Paese centro-asiatico. Lo può fare 
attraverso strumenti diversi. Il più efficace rimane la shura di Mashad 
(dall’omonima città nel nord-est dell’Iran, a due passi dal confine 
afghano), una delle cupole dei Talebani. La shura di Mashad è 
controllata e finanziata dalle Guardie della rivoluzione, che usano 
l’influenza sui militanti per condizionare la partita afghana. Fino alla
 fine del 2014, quando è avvenuto il ritiro della maggior parte delle 
truppe straniere, l’obiettivo era lavorare ai fianchi gli americani, 
colpirli il più duramente possibile, ricordargli che l’Asia centrale non
 è casa loro. Più recentemente, i pasdaran hanno visto nei Talebani un 
argine contro l’espansione della «Provincia del Khorasan», la branca 
locale dello Stato islamico, che persegue una politica settaria 
fortemente anti-sciita.
LA PREOCCUPAZIONE DI TEHERAN è simile a 
quella di Mosca, che ha deciso di attribuire una patente di legittimità 
politica ai Talebani in cambio del sostegno contro la Provincia del 
Khorasan, troppo vicina geograficamente alle ex repubbliche sovietiche e
 al Caucaso.
I legami cion la Russia e con l’Iran non piacciono a 
tutte le componenti dei Talebani. La Russia è l’erede di quell’impero 
sovietico che aveva occupato il Paese, provocando la resistenza dei 
mujahedin. L’Iran nel 2001 ha fornito assistenza all’Alleanza del nord 
per rovesciarne l’Emirato islamico. Poi le cose sono cambiate.
Oggi
 i rapporti sono buoni, almeno con alcune “shure”. Mullah Akhtar 
Mansour, il successore di mullah Omar alla guida dei turbanti neri, è 
stato polverizzato nel maggio 2016 da un drone statunitense nel 
Beluchistan pachistano proprio mentre tornava da un viaggio in Iran.
PER
 I TALEBANI quella iraniana è già una sponda importante. Con la 
decisione di Trump diventerà ancor più significativa. Anche per gli 
effetti sul quadro domestico iraniano: verrà ridimensionato il peso del 
ministro degli Esteri Javad Zarif a beneficio dei duri e puri delle 
Guardie della rivoluzione, che vedono la diplomazia attraverso un 
mirino. Se uno degli obiettivi di Trump era ridimensionare l’influenza 
regionale iraniana, il colpo basso sul nucleare ne rafforza il ruolo, 
sul fronte afghano come altrove. E mette seriamente nei guai il governo 
di Kabul, già debole e diviso tra il presidente Ashraf Ghani e il quasi 
primo ministro Abdullah Abdullah, costretti alla coabitazione in un 
governo di unità nazionale che ha istituzionalizzato la loro rivalità.
Trump
 li mette in una situazione difficile, da equilibristi: devono obbedire a
 Washington, senza il cui sostegno il loro governo non esisterebbe, ma 
non possono rinunciare ai legami con Teheran, importantissimo partner 
commerciale. Inoltre, paradossalmente Kabul potrebbe essere spinta nelle
 braccia di Islamabad, lo stesso attore che Trump accusa di sostenere i 
Talebani. Una parte di loro festeggia la scelta del presidente Usa. Ne 
otterranno benefici. I più oltranzisti potranno convincere i moderati 
che del processo di pace non c’è bisogno: degli americani non ci si può 
fidare.
 
