giovedì 10 maggio 2018

il manifesto 10.5.18
Dimenticato Vanunu, l’uomo che rivelò il nucleare segreto di Israele
Atomica. Il tecnico nucleare israeliano ha pagato con 18 anni di carcere l'aver denunciato le produzioni militari nella centrale di Dimona e il possesso da parte di Israele dell'arma atomica. Un arsenale su cui la comunità internazionali non ha mai voluto indagare
L'articolo pubblicato nel 1986 dal Sunday Times grazie alle rivelazioni di Vanunu
di Michele Giorgio


GERUSALEMME «Con voi italiani non ci parlo» ci dice sorridendo Mordechai Vanunu ‎incontrandoci per strada a Gerusalemme Est, la zona palestinese, dove l’ex tecnico ‎nucleare israeliano vive dal 2004, da quando è uscito, dopo 18 anni, dal carcere ‎di Shikma. Scherza Vanunu ma fino ad un certo punto. Le condizioni del suo ‎rilascio gli impongono da 14 anni di non dare interviste e neppure di parlare ai ‎giornalisti. Altrimenti tornerà in prigione e i giornalisti stranieri saranno subito ‎espulsi. E dell’Italia Vanunu non può certo avere una buona opinione. Nel 1986 il ‎Mossad lo attirò in una trappola a Roma e da lì lo portò con la forza a Tel Aviv ‎interrompendo le clamorose rivelazioni stava facendo al Sunday Times ‎sull’atomica israeliana. Un rapimento sul quale l’Italia ha indagato molto poco ‎preferendo nascondere sotto il tappeto l’accaduto in nome dei buoni rapporti con ‎Tel Aviv. Roma, come le altre capitali occidentali, non ha mai avuto alcuna ‎intenzione di proteggere l’uomo che ha svelato al mondo le produzioni atomiche ‎militari nella centrale di Dimona e il possesso da parte di Israele di ordigni ‎atomici.
 Il premier israeliano Netanyahu ieri ha ripetuto le sue accuse all’Iran che, ‎afferma, avrebbe l’intenzione di costruire bombe nucleari mettendo a rischio ‎l’esistenza di Israele. E ringrazia Donald Trump che martedì ha sfilato gli Stati ‎Uniti dall’accordo internazionale del 2015 sul nucleare iraniano e imposto pesanti ‎sanzioni a Tehran. Ma a conti fatti l’unico Paese del Medio Oriente a possedere ‎segretamente l’atomica era e resta Israele. Usa, Europa e l’Aiea non hanno mai ‎voluto indagare seriamente sul programma nucleare di Israele che, peraltro, non ha ‎mai firmato il Trattato di non proliferazione e mantiene una posizione di ‎‎”ambiguità nucleare”, non ammette e non smentisce. ‎«La vicenda del possesso da ‎parte di Israele dell’arma atomica è uno degli aspetti più scandalosi della comunità ‎internazionale» spiega al manifesto la giornalista e saggista Stefania Limiti, autrice ‎del libro “Rapito a Roma” (ed. L’Unità, 2006) ‎«i movimenti pacifisti e democratici ‎devono molto a Mordechai Vanunu che nel 1986 ebbe il coraggio di denunciare ‎quanto aveva avuto modo di vedere nella centrale di Dimona. Andò a Londra e ‎denunciò che Israele possedeva un armamento atomico importante. Lo fece per ‎una scelta di impegno civile e di testimonianza». Vanunu ‎«è stato dimenticato», ‎aggiunge Limiti, ‎«è stato abbandonato, ha vissuto terribili anni di isolamento in ‎prigione, e non può lasciare Israele. Nei suoi confronti l’Italia è in debito. La ‎premier Thatcher intimò al Mossad di non rapirlo in Gran Bretagna e gli agenti ‎israeliani misero in atto il sequestro a Roma. L’Italia ha avuto nel tempo una grave ‎responsabilità, quella di abbandonarlo. Vanunu non va dimenticato perchè ha ‎sollevato il velo di menzogna che Israele aveva steso sul possesso di armi ‎nucleari». ‎
 Le rivelazioni di Vanunu sono state decisive, grazie ad esse esperti ‎internazionali hanno potuto calcolare fra 100 e 200 gli ordigni atomici negli ‎arsenali israeliani. Il tecnico lavorò per nove anni a Dimona, costruita ‎ufficialmente per la produzione di energia elettrica ma che il laburista Shimon ‎Peres con l’aiuto del padre della atomica francese Francis Perrin trasformò in un ‎impianto militare. Anni di lavoro in cui Vanunu maturò la decisione di riferire al ‎mondo quanto vedeva ogni giorno. Con una Pentax scattò in segreto 58 foto nel ‎Machon 2, un complesso di sei piani sotterranei della centrale atomica dove ‎venivano prodotti annualmente una quarantina di kg di plutonio. Costretto a ‎dimettersi, con uno zaino pieno di informazioni, Vanunu partì per l’Australia ‎dove si mise in contatto con il Sunday Times. Giunto a Londra nell’agosto del ‎‎1986, si recò al giornale riferendo per due intere settimane i suoi segreti. Il ‎giornale esitò a pubblicare il racconto. Lo fece solo il 5 ottobre, quando si seppe ‎della scomparsa dell’israeliano. Vanunu si rivide in pubblico il 7 ottobre, a ‎Gerusalemme, durante il processo per “alto tradimento”, quando con uno ‎stratagemma – scrivendo sul palmo della mano che mostrò ai fotografi fuori ‎dall’aula – fece sapere di aver raggiunto Roma il 30 settembre con il volo 504 ‎della British Airways e di essere stato rapito.