il manifesto 10.5.18
«Basta con la Victatura», Budapest in piazza
Ungheria. In migliaia protestano contro il «sistema» di Viktor Orbán in occasione dell’insediamento del nuovo parlamento
di Massimo Congiu
BUDAPEST
Oppositori del governo Orbán hanno manifestato alla vigilia e, ancora
più numerosi, nel giorno della seduta inaugurale del parlamento, contro
l’autoritarismo del premier. I manifestanti si sono radunati intorno
all’edificio dell’Assemblea nazionale dando vita a una nuova vigorosa
dimostrazione caratterizzata, tra l’altro, da tensioni con le forze di
polizia che a un certo punto sono entrate in azione e hanno allontanato
diversi dimostranti.
AUMENTANO, così, le grandi proteste pubbliche
svoltesi dopo le elezioni politiche vinte dal partito governativo
Fidesz con una maggioranza di due terzi. Le opposizioni fanno notare che
si tratta di una vittoria ottenuta in modo iniquo, grazie a una legge
elettorale che il governo ha voluto a sua misura. Prima di entrare
nell’edificio neogotico che ospita il Parlamento, i deputati socialisti
hanno giurato in un parco di attivarsi per il ritorno della democrazia
nel paese e il ripristino dello stato di diritto che a loro avviso è
stato smantellato dal primo ministro.
SU INVITO DEL PRESIDENTE
della repubblica János Áder, i deputati hanno conferito a Viktor Orbán
l’incarico di formare il nuovo esecutivo la cui lista è nota da due
settimane. Oltre a quello del Fidesz, che ha 133 deputati su 199, ci
saranno quattro gruppi parlamentari: Jobbik con 26 deputati, i
socialisti alleati con Párbeszéd (dialogo) a quota 20, Dk (Coalizione
Democratica con 9), Lmp (liberali verdi) con 8. Ci saranno anche un
deputato centrista, un indipendente e un rappresentante della minoranza
parlante tedesco.
FUORI DAL PALAZZO i manifestanti, schierati di
fronte agli agenti della forza pubblica, gridavano slogan contro il
sistema di Viktor Orbán, contro la corruzione di cui accusano il governo
e a favore del ripristino della libertà di stampa. «Siamo noi la
maggioranza!» è lo slogan principe delle dimostrazioni svoltesi nella
capitale ungherese dalla terza vittoria consecutiva delle forze
governative. E la dice lunga sul fatto che gli oppositori del premier
considerano il risultato elettorale dello scorso 8 aprile frutto di
brogli. Magari non si aspettavano di vincere ma almeno di evitare che il
Fidesz-Kdnp ottenesse la maggioranza assoluta. E ancora «Orbán
vattene!» e «Basta con la dittatura!» o «victatura» come recita un gioco
di parole comparso sui cartelli dei manifestanti in questa prima,
inquieta fase del dopo-voto.
IL TERZO MANDATO consecutivo
assegnato a Orbán è visto da quest’ultimo come una nuova importante
possibilità per difendere il paese dai nemici esterni e dai loro agenti
attivi in patria. In occasione del discorso pronunciato come di consueto
per celebrare la festa nazionale del 15 marzo, il premier aveva
promesso tempi duri ai suoi oppositori accusati di tramare contro la
nazione. Ed ecco che, nel mese di aprile il settimanale Figyelö, vicino
al governo, ha pubblicato una lunga lista di presunti agenti di George
Soros. In essa sono stati inseriti i nomi di giornalisti, membri di Ong,
avvocati attivi sul fronte dei diritti umani e insegnanti rei, secondo
l’esecutivo, di agire al soldo del magnate americano di origine
ungherese per fare dell’Ungheria una colonia del capitale globale e dei
suoi manipolatori.
Sempre ad aprile la Open Society Foundation
(Osf) di Soros ha annunciato la chiusura dei suoi uffici a Budapest. La
fondazione, attiva in Ungheria dal 1984, ha deciso di spostarsi a
Berlino. Lo ha fatto anche perché consapevole che il primo atto del
nuovo parlamento sarebbe stato l’approvazione del pacchetto di legge
«Stop Soros» concepito per colpire le Ong accusate dalle autorità di
Budapest di prendere soldi dal magnate statunitense e servire interessi
stranieri. «Di certo non piangerò» è stato il commento del premier alla
notizia riguardante il trasferimento della Osf. A suo avviso Soros,
accusato di riempire l’Ungheria e il resto dell’Europa di migranti
musulmani, ha investito somme ingenti per appoggiare l’opposizione
tramite la sua fondazione.
Per Orbán, che ha puntato la campagna
elettorale sull’allarme immigrazione di massa, questo è il problema più
urgente e delicato nel Vecchio Continente. Il premier ha ribadito che
l’Ungheria si opporrà a tutti i piani dell’Ue e dell’Onu per
«incoraggiare» l’immigrazione che a suo giudizio finirà col pregiudicare
la sopravvivenza dell’Europa.
L’OPPOSIZIONE politica e gli
ambienti progressisti della società civile controbattono accusando Orbán
di spingere il paese verso una deriva sempre più antidemocratica e
lontana dall’Europa e dai suoi ideali di democrazia e rispetto dello
stato di diritto. I manifestanti che tre volte sono scesi in piazza
affermando di voler vivere in un’Ungheria «democratica ed europea»,
promettono di portare avanti la loro protesta e l’impegno di scuotere le
coscienze. Vogliono la fine del sistema dirigista creato da Orbán e dai
suoi collaboratori che col tempo hanno realizzato un controllo sempre
più capillare dei principali settori della vita pubblica. Lo accusano di
mentire ai cittadini sulla situazione economica del paese e di dar
luogo a una propaganda martellante incentrata sui migranti e sugli
agenti di poteri nemici per distogliere l’attenzione pubblica dai
problemi interni. Insomma, la piazza promette di restare attiva
mostrando di non accettare il verdetto uscito dalle urne poco più di un
mese fa e soprattutto con la prospettiva di trascorrere altri quattro
anni sotto il governo Orbán.