Il Fatto 8.5.18
L’errore più grave di Di Maio: aver dato fiducia a Renzi
di Andrea Scanzi 
Giusto
 una settimana fa, Ferruccio de Bortoli ha detto a DiMartedì che Luigi 
Di Maio le aveva indovinate tutte in campagna elettorale per poi 
sbagliarle tutte nei due mesi post-voto. Non è il solo a pensarlo. 
Domenica da Lucia Annunziata e ieri dopo l’ottocentesimo giro di 
consultazioni, il leader 5 Stelle ha dato la sensazione di aver 
ritrovato lucidità. Sin dal 4 marzo, Di Maio avrebbe dovuto sapere bene 
due cose: che non c’era nulla da esultare e che l’unica strada 
(bruttina) era un governo di scopo con Salvini (e basta) per poi andare 
in fretta al voto. Non a caso, dopo due mesi di straziante e palloso 
balletto democristianissimo, Di Maio è tornato lì: un contratto (solo) 
con la Lega con tre cose da fare – reddito di cittadinanza, abolizione 
legge Fornero, seria legge anticorruzione – e voto. La proposta politica
 di Luigi Di Maio si riassume così: “Salvini, facci vedere se hai le 
palle”. Scontato, quindi, il fallimento di una trattativa che – per 
verificarsi – presupporrebbe la miracolistica trasformazione di Salvini 
da cazzaro brontolone a statista credibile. Di Maio, così facendo, sta 
spaccando ancora di più ciò che è di per sé crepatissimo, ovvero 
centrodestra e centrosinistra.
Era ovvio che Di Maio non sarebbe 
mai stato premier, come era pressoché certo che – in questa assai 
ipotetica “Terza Repubblica” – tutti sarebbero potuti andare al governo 
tranne i 5 Stelle. C’è però un punto su cui Di Maio è indifendibile. 
Venerdì scorso, nella bella intervista concessa a Luca De Carolis per il
 Fatto, Di Maio ha detto: “Pensavo che il senatore semplice Renzi 
potesse permettere un processo di rinnovamento nel Pd, accettando 
un’autocritica dopo la batosta elettorale. Poi però è andato in tivù e 
ha rotto tutto, prima della direzione del Pd”. Sono parole sconcertanti:
 se speri in un’autocritica di Renzi (???), vuol dire che non hai capito
 nulla di Renzi e dello scenario contemporaneo. Di Maio con Renzi non 
doveva neanche parlare, men che meno con quell’atteggiamento parso 
oltremodo dimesso: Renzi va trattato come Berlusconi. Così come i 5 
Stelle stanno meritoriamente dicendo no a prescindere a Berlusconi, allo
 stesso modo dovevano rifiutarsi di sedere a un tavolo che contemplasse 
la presenza di Renzi e renziani. Bastava dire: “Caro Pd, finché comanda 
ancora questo qua, tu per noi non esisti. Se invece te ne libererai, 
allora saremo felici di parlare con voi”. Invece Di Maio ha dato la 
sensazione di voler governare a tutti i costi. Eppure lo sa, che chi lo 
ha votato preferisce un’opposizione rigorosa a un annacquamento 
inaccettabile (e le “tavole di Giacinto della Cananea” restano un 
momento di mestizia politica assoluta). Ora Di Maio spera di votare a 
luglio (macché), settembre (difficile), dicembre o primavera 2019 (boh).
 È sua convinzione che, anche col Rosatellum, il voto si trasformerebbe 
in un ballottaggio M5S-centrodestra: possibile. Il punto, però, è che se
 a chiedere il voto non ci sarà anche Salvini allora avrà luogo una 
mostruosità purulenta: il Renzusconi in salsa leghista. In quel 
malaugurato caso, il M5S dovrà fare un’opposizione senza sconti: i 
numeri (enormi) per bloccare quasi tutto ciò che va bloccato, li 
avrebbe. Questi due mesi democristianissimi (“doppio forno” de che?) 
sono stati il frutto di ciò che Di Maio aveva anticipato in campagna 
elettorale (dialogo, contratto), ma sono anche stati caratterizzati da 
un mix di ingenuità, dabbenaggine e ambizione mal controllata. Riporre 
fiducia su Renzi, o sulla di lui autocritica (???), è un errore 
gravissimo da matita blu: se lo ricordi in futuro, onorevole Di Maio.
 
