Il Fatto 5.5.18
C’è un vantaggio nel chiamarsi Israele
di Massimo Fini
Che
le dichiarazioni di Abu Mazen (gli ebrei sarebbero in qualche modo
responsabili della Shoah) siano inaccettabili, come ha immediatamente
dichiarato, fra gli altri, anche l’Unione europea, non è nemmeno il caso
di dirlo. Ci si chiede però, come ha fatto un lettore del Fatto (27.4),
Mauro Chiostri, parlando dell’oggi e non del codificato ieri, se lo
Stato di Israele non goda di uno speciale salvacondotto basato proprio
sullo sterminio ebraico di tre quarti di secolo fa.
È una domanda,
per la verità, che si fanno in molti ma che non osano formulare
pubblicamente nel timore di essere immediatamente bollati come
antisemiti, negazionisti, razzisti, nazisti. Ma Israele è uno Stato e
non va confuso con la comunità ebraica internazionale. In anni meno
manichei di quelli che stiamo vivendo attualmente era la stessa comunità
ebraica a non volere che si facesse una simile confusione. Ed era
logico che così fosse. Perché Israele è uno Stato e, come tale, può
compiere azioni criticabili, e anche nefande, ma non per questo ne deve
rispondere, poniamo, un ebreo del ghetto di Roma. Oggi invece questa
confusione esiste e Israele può compiere impunemente atti che ad altri
Stati costerebbero l’indignata condanna, se non peggio, della cosiddetta
comunità internazionale. 1. Durante le manifestazioni popolari di
quest’ultimo mese e mezzo a Gaza, i militari israeliani hanno ucciso 44
persone e ne hanno ferite 1.400. Il segretario generale dell’Onu Antonio
Guterres aveva fatto richiesta di un’indagine indipendente sui morti a
Gaza. Ma Israele l’ha respinta. Eppure richieste di questo genere sono
state accettate persino da Assad e, a suo tempo, da Saddam Hussein.
L’esercito israeliano sarà anche “il più virtuoso al mondo” come afferma
Netanyahu ma certamente ha il grilletto molto facile.
2. L’altro
giorno, Benjamin Netanyahu, in diretta tv, con la massima esposizione
mediatica possibile, ha accusato l’Iran di aver mentito sul proprio
programma nucleare e di stare preparando almeno quattro o cinque bombe
atomiche della stessa potenza di quelle che gli americani sganciarono su
Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki. Ha anche affermato di essere
in possesso di oltre 55 mila pagine di documenti che lo provano. E ha
subito trovato una sponda nell’amico di sempre, gli Stati Uniti. In
realtà è proprio Netanyahu a raccontar frottole che sono state subito
smentite dall’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) i cui
ispettori fanno la spola fra Vienna e Teheran e hanno sempre constatato
che nelle centrali iraniane l’arricchimento dell’uranio non supera il
20% che è quanto serve per gli usi energetici, civili e medici del
nucleare (per arrivare all’Atomica l’arricchimento deve essere del 90%).
Questo il comunicato dell’Aiea che, in materia, è la fonte più
autorevole dato che i suoi ispettori fanno le verifiche sul campo: “Non
abbiamo alcuna indicazione credibile di attività in Iran attinenti allo
sviluppo di un ordigno nucleare dopo il 2009”.
È grottesco, se non
fosse inquietante, che uno Stato come Israele, che non ha firmato il
Trattato di non proliferazione nucleare, che ha la Bomba, anche se non
lo dice ma, per buona misura, fa sapere, ne accusi un altro, l’Iran, che
questo Trattato ha sottoscritto e accetta da sempre le ispezioni
dell’Aiea.
Ma anche se l’Iran, in linea puramente ipotetica,
volesse farsi l’Atomica non sarebbe uno scandalo circondato com’è da
potenze nucleari come lo stesso Israele, il Pakistan e la non lontana
India. L’Atomica, è ovvio, serve solo da deterrente, come dice la logica
e anche l’esempio del dittatore coreano che si è salvato semplicemente
dimostrando di averla e, a contrario, i casi di Saddam Hussein e Muammar
Gheddafi che sono stati eliminati provocando il caos mediorientale e
libico che tutti abbiamo sotto gli occhi.
3. Gli israeliani hanno
effettuato una decina di raid missilistici su postazioni iraniane in
Siria. Gli ultimi due, nella notte di domenica scorsa, hanno provocato
almeno 40 vittime. Certo le milizie iraniane sono fuori dal proprio
territorio col pretesto di combattere l’Isis che è diventato il
passepartout per ogni sorta di nefandezze, turche, russe, americane e,
appunto, iraniane. Ma Israele ha il diritto di intervenire? Facciamo
l’ipotesi opposta. Cosa succederebbe se missili iraniani colpissero
ipotetiche postazioni israeliane fuori dal loro territorio? Il
finimondo. La condanna e l’indignazione sarebbero unanimi e le
ritorsioni, economiche e militari, immediate. Invece con Israele si sta
zitti, si fa finta di non vedere, di non sapere.
4. Dal 1946 sono
centinaia le risoluzioni Onu che Israele non ha rispettato.
Evidentemente è legibus solutus. Fino a quando deve durare questo
salvacondotto che, come scrive il lettore Mauro Chiostri, “specula sul
dramma della Shoah mancando oltretutto di rispetto alle vittime
innocenti che l’hanno subita”?