Il Fatto 30.5.18
Lorenza Carlassare
“Mattarella non poteva mettere il veto su Savona”
La
costituzionalista: “Il capo dello Stato può rifiutare una nomina solo
per ragioni oggettive: le sue critiche erano tutte politiche”
intervista di di Silvia Truzzi
Lorenza
Carlassare – professore emerito a Padova, una dei nostri
costituzionalisti più autorevoli – risponde al telefono con l’abituale
fermezza: “Non è difficile valutare alla luce della Carta i fatti di
questi giorni. Si discute se il comportamento del capo dello Stato sia
stato corretto. La risposta per un costituzionalista è facile, perché
noi valutiamo le situazioni solo ed esclusivamente in rapporto al
dettato costituzionale e a ciò che rientra nella tradizione del sistema
parlamentare. La nostra non è una Repubblica presidenziale: da qui
discendono molte conseguenze. Il presidente quando forma il governo non
fa il suo governo, ma quello della maggioranza”.
E come si deve regolare?
Semplicemente
tenendo conto di qual è l’orientamento della maggioranza parlamentare e
di quale governo potrà ottenere la fiducia delle Camere. Quel governo
dovrà avere la fiducia e conservarla, altrimenti dovrà dare le
dimissioni. L’unica stella polare che deve guidare il cammino del
presidente è questa valutazione sulla possibilità o meno che
quell’esecutivo abbia la fiducia del Parlamento.
Dove risiede il potere decisionale del presidente?
Dopo
le consultazioni, deve valutare qual è la persona maggiormente idonea a
ricoprire la carica di presidente del Consiglio. È una valutazione che
però non si basa su opinioni o convincimenti personali del capo dello
Stato, ma sulla base delle consultazioni che altrimenti sarebbero
inutili. Dopo aver individuato la persona e conferito l’incarico, la
responsabilità passa al presidente incaricato che deve comporre la lista
dei ministri del suo gabinetto. La proposta di cui parla l’articolo 92
della Carta vincola il capo dello Stato, che può esprimere valutazioni
di cui il presidente incaricato può tenere conto se lo ritiene. Il
diniego sul nome di un ministro può esserci per incompatibilità col
ruolo, per conflitto d’interessi o indegnità causata, per esempio, da
condanne penali, dunque solo per ragioni oggettive.
Il presidente può fare valutazioni politiche?
No.
Perché non è organo di indirizzo politico. La dottrina – da Serio
Galeotti a Livio Paladin, per citare due autorevolissimi
costituzionalisti – è sempre stata concorde nel ritenere il presidente
un organo di garanzia e non di indirizzo politico.
Si dice che il presidente si sia fatto garante della Carta, che all’art. 47 assicura la tutela del risparmio.
Mi
fa felice riscontrare questo interesse per il risparmio degli italiani
che per decenni non si è mai manifestato né da parte del presidente
Mattarella, né dei suoi predecessori. Tanto è vero che tanti
risparmiatori sono stati messi in ginocchio. E non mi riferisco solo a
quelli truffati dalle banche: il risparmio è stato distrutto dai
meccanismi attuali. È bene che il presidente se ne faccia carico, ma
voglio far notare che nel programma di governo non erano previsti
provvedimenti distruttivi del risparmio. La valutazione sulla linea
economica è stata squisitamente politica. E questa sfugge alle
prerogative presidenziali.
Ci sono punti del programma di governo che suscitano perplessità?
Credo
quelli sulla sicurezza, citati anche in un’intervista a Gustavo
Zagrebelsky qualche giorno fa su Repubblica, come l’autodifesa sempre
legittima, o l’uso della pistola a onde elettriche considerata dall’Onu
uno strumento di tortura, l’introduzione di reati specifici per i
migranti clandestini o il trasferimento dei fondi destinati ai profughi
ai rimpatri coattivi. Sono cose in evidente contrasto con la Carta: il
presidente avrebbe potuto farlo notare e comunque respingere i singoli
provvedimenti.
Cosa pensa della ventilata messa in stato d’accusa?
Mattarella
ha certamente esorbitato dalle sue funzioni. Ma la messa in stato
d’accusa è qualcosa di più complesso: bisogna dimostrare, anche con
comportamenti reiterati, l’intenzione di sovvertire la Costituzione. Non
è questo il caso. In ogni caso, nell’interesse del Paese è un discorso
che va abbandonato perché paralizza il funzionamento delle istituzioni.
Si
cita spesso il precedente di Napolitano, che ha interpretato in maniera
vigorosa il suo ruolo: per Renzi anche imponendo il percorso di riforme
costituzionali.
Le rispondo così: quando il presidente Cossiga
esorbitava dalle sue funzioni, i costituzionalisti manifestavano le loro
critiche continuamente proprio per evitare che si potesse parlare di
una prassi consolidata.
La presidenza della Repubblica ne esce ammaccata?
Mi auguro con tutto il cuore di no.