venerdì 25 maggio 2018

Il Fatto 25.5.18
Emergenza aggressioni negli ospedali. I medici si ribellano: “1.200 casi l’anno”
di Daniele Erler


All’ospedale di Partinico, in Sicilia, un’infermiera è stata presa a calci: aveva abbandonato temporaneamente un malato di influenza per soccorrere uno più grave. A Tivoli un uomo, soccorso per una ferita lieve in codice verde, ha aggredito tre infermieri e un medico, forse perché lo stavano facendo aspettare. A Napoli un infermiere di dermatologia è stato colpito, sembra con un casco, da alcune persone che volevano entrare nel reparto. Sono solo alcuni degli ultimi episodi di violenza negli ospedali italiani.
I medici ora dicono basta. Sul sito del Coas, il sindacato dei medici dirigenti, ci sarà presto un contatore. Si aggiornerà ogni volta che ci sarà un’aggressione: un modo per rendere evidente la portata dell’emergenza. Sempre il Coas aprirà uno sportello virtuale, dove segnalare gli episodi e ottenere supporto. Dal primo marzo al 30 aprile la Simeu – la Società italiana di medicina di emergenza e urgenza – ha tenuto sotto controllo 218 pronto soccorso, in tutta Italia: nel 63% dei casi c’è stata almeno un’aggressione. Fare i medici nelle strutture d’emergenza è pericoloso: ogni anno ci sono circa 1.200 aggressioni, di varia entità. Solo nel 2017, sono almeno 150 i medici e gli infermieri dei pronto soccorso che sono stati curati dopo un’aggressione, con prognosi di vari giorni.
Così nel Veneto i medici hanno deciso di armarsi, non con pistole o manganelli ma con i più innocui fischietti: sono 200 quelli già ordinati, per ora saranno usati in via sperimentale per sei mesi. “Il fischietto sarà utilizzato dall’operatore in caso di pericolo. Potrà richiamare l’attenzione dei colleghi o di altre persone che lo potranno aiutare” spiega Carlo Bramezza, direttore dell’Azienda sanitaria del Veneto orientale.
Ma per Francesco Rocco Pugliese, presidente della Simeu, non basta: “Servono misure concrete e si deve partire da una revisione delle norme vigenti”. Fino alla misura più estrema: “Bisogna togliere l’assistenza sanitaria ordinaria, esclusa l’emergenza, agli aggressori recidivi. Per di più, se non si superano i venti giorni di prognosi, oggi è necessaria la denuncia del medico aggredito. Chiediamo che si possa intervenire sempre d’ufficio, come succede con i pubblici ufficiali”.
Non ci sono solo gli episodi più gravi di violenza. Le spinte, le aggressioni verbali e le intimidazioni sono all’ordine del giorno: “Nell’ultimo anno, in base alle testimonianze raccolte, la situazione è sensibilmente peggiorata in tutte le regioni, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia, passando per il Lazio – dicono i responsabili della Simeu – Nel 50% dei casi le aggressioni si sono verificate dove il problema sovraffollamento risulta più grave”.
E allora si muovono anche le prefetture. Questo pomeriggio a Roma ci sarà una riunione con il prefetto Paola Basilone, il locale presidente dell’Ordine dei medici, Antonio Magi, e l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato. Saranno potenziate le misure di sicurezza nei pronto soccorso e negli ambulatori, verificando anche l’effettiva presenza delle forze dell’ordine nei presidi sanitari. Se non si riesce davvero a porre fine alle aggressioni, almeno si cerca di intervenire per reprimerle.