Il Fatto 25.5.18
Conte, il designato è un “sopravvissuto”
di Salvatore Settis
Designated
Survivor è una serie Neflix di gran successo. La trama ha un nucleo
semplice: a Washington, un attentato fa saltare in aria il Capitol
durante una seduta plenaria di Camera e Senato. Muoiono il presidente e
il vicepresidente, i senatori e i deputati, tutti i ministri. Salvo uno,
un ministro di seconda fila, Tom Kirkman (impersonato da Kiefer
Sutherland), che secondo una qualche legge americana (non so se vera),
essendo l’unico membro superstite del governo automaticamente diventa
presidente degli Stati Uniti.
Molti gli danno addosso perché non
ha vera legittimazione popolare, altri gli danno fiducia in attesa di
vedere come si comporta. Il successo della serie si basa sulla bravura
dell’attore, ma anche sul fatto che Sutherland, lo stesso che nella
fortunatissima 24 interpretò il duro e scatenato agente anti-terrorismo
Jack Bauer, qui è un mite architetto, buon marito e buon papà. Un
presidente per caso che affronta il suo compito malvolentieri ma con
assoluta onestà. Altro fattore di successo, il vivo contrasto fra questo
presidente timido e ritroso e il vero presidente di oggi, il tracotante
Trump.
Certo, gli autori di Designated Survivor, una storia che
più americana non si può, non lo hanno pensato come una metafora o una
parabola del potere da applicarsi altrove (per esempio in Italia), ma la
tentazione è forte. Poco prima del 4 marzo, Di Maio annunciò il suo
governo, con tanto di lista di 17 ministri, come fosse sicuro di
sfondare abbondantemente il 50% della maggioranza parlamentare. Ma quel
“governo” (come parecchi allievi delle scuole materne avevano
sagacemente predetto) si è dissolto come neve al sole la mattina del 5
marzo, per non dire di ulteriori consunzioni e agonie durante gli
estenuanti mesi di negoziato. Insomma, il “governo” Di Maio è imploso
senza esplosivo, senza terroristi, senza nemmeno tanti drammi.
Ma
il designated survivor c’è: Giuseppe Conte, inopinatamente promosso da
ministro in pectore alla Pubblica amministrazione a presidente del
Consiglio designato dai partiti alleati. E, come nella fiction Netflix,
c’è chi lo condanna in partenza in quanto prima sconosciuto ai più, e
chi vuol vedere come se la caverebbe. Si può trarre una qualche morale
della favola da questo confronto? Forse. Per esempio, che chi arriva ai
vertici del potere come designated survivor è in una posizione
fragilissima, non ha un sufficiente capitale di reputazione su cui
contare ma deve conquistarsi sul campo i galloni che nel curriculum
proprio non c’erano.
Un compito tutt’altro che facile. E sarà bene
tenere a mente che in quella fiction Tom Kirkman riesce ad aver
successo non solo perché è di buon carattere e ha qualità nascoste che
emergono alla sfida dei fatti, ma anche perché un nucleo di esperienza
di governo ce l’ha (da ministro ha manifestato chiare idee progressiste,
tanto da essere in difficoltà proprio per questo), e perché è, si sente
e si dichiara il solo responsabile del programma e dell’azione di
governo, e non vuol farsi condizionare da nessuno. Tutti, anche i
nemici, gli credono. E lo rispettano proprio per questo.
E poi c’è
un ma. Il “governo” Di Maio è imploso, questo è vero, ma il palazzo del
Quirinale risulta graniticamente al suo posto. E Mattarella gode a quel
che pare di ottima memoria, e non ha bisogno di ripassarsi la
Costituzione per ricordarsi e ricordarci che il presidente del Consiglio
“dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene
l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e
coordinando l’attività dei ministri” (art. 95). Riuscirà, il designated
survivor all’italiana, a vestire panni tanto impegnativi?