Il Fatto 23.5.18
Vittime dei preti pedofili uniti: l’incubo della Santa Sede
Effetto domino. I casi in Australia e Cile, la volontà di condanna di tribunali e Vaticano
di Andrea Valdambrini
Giudicato
colpevole, rischia fino a 2 anni di carcere per aver coperto abusi sui
minori. Fa rumore la decisione del tribunale di Newcastle in Australia
contro l’attuale arcivescovo di Adelaide, il 67enne Philip Wilson,
condannato per aver insabbiato le violenze commesse da un collega
sacerdote negli anni ’70 nella diocesi di Maitland, 130 chilometri a
nord di Sidney.
La decisione della corte australiana è
significativa, non solo perché Wilson diventa il più alto prelato al
momento condannato per questo tipo di reati da un tribunale ordinario.
Ma soprattutto perché per chi ha subito violenza, ottenere giustizia è
tutt’altro che scontato. Per almeno due ragioni: da un lato i
responsabili vengono spesso pensionati o trasferiti – come nel caso del
cardinal Bernard Law di Boston nell’apripista caso Spotlight, emerso nel
2003, che fu mandato a Roma. Dall’altro perché alcune Chiese, come
quella Usa, scelgono la strada del risarcimento economico nei confronti
delle vittime.
Dopo il lavoro della magistratura in Usa,
l’Australia è uno dei Paesi al mondo che più è spesi per far emergere i
reati di pedofilia da parte del clero cattolico. Nel 2012 l’allora primo
ministro laburista Julia Gillard istituì una commissione d’inchiesta
(la Royal Commission), che avrebbe lavorato per oltre di cinque anni,
raccogliendo migliaia di testimonianze. Il rapporto finale, pubblicato
lo scorso dicembre, documenta più di 40.000 casi di violenza, risalenti
agli anni ’80 e ’90, 2500 dei quali sono stati comunicati alle autorità
competenti. L’attuale premier australiano Malcom Turnbull, commentando
la relazione finale della commissione, l’ha definita senza mezzi termini
una “tragedia nazionale”.
Chiamato in causa nello scandalo, anche
il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sidney e primate della
chiesa australiana, oggi responsabile del dicastero economico della
Santa Sede – in sostanza una dei più alti in grado nella gerarchia
vaticana.
Il 1° maggio un tribunale ha rinviato a giudizio il
porporato con l’accusa di abusi sessuali commessi sia durante il suo
ministero a Melbourne, che prima, nella sua città natale, Ballart.
Quello del 76enne Pell, cardinale già in età di pensione ma non ancora
dimissionato da Papa Francesco, causa grande imbarazzo entro le mura
vaticane.
Un imbarazzo che almeno in un altro caso recente non ha
potuto non generare conseguenze. Solo venerdì scorso, tutti i 34 vescovi
cileni hanno rassegnato le dimissioni a Papa Francesco, dopo che nel
Paese latinoamericano sono emersi anni di violenze e coperture. La
conferenza episcopale ha invocato il “perdono per il dolore causato alle
vittime per i nostri gravi errori e omissioni”. Il caso clamoroso da
cui la Chiesa cilena è stata scossa è quello di padre Ferdinando
Karadima, responsabile negli anni ’70 e ’80 di numerose violenze e
“condannato” a “seguire una vita di preghiere e penitenze” dalle stesse
gerarchie ecclesiastiche nel 2011.
E in Italia? “Al contrario di
quello australiano, il nostro governo è inadempiente rispetto alle
convezioni internazionali di protezione dei minori”, afferma Francesco
Zanardi, presidente di Rete l’Abuso – associazione italiana di vittime
del clero. “Lo scorso anno grazie al deputato Matteo Mantero (M5S),
abbiamo depositato un’interrogazione parlamentare per chiedere quella
tutela per la vittime che oggi manca. E dal 4 all’ 8 giugno saremo
all’Onu a Ginevra per manifestare insieme a tutte le associazioni di
vittime del mondo”.