mercoledì 23 maggio 2018

Il Fatto 23.5.18
Johannes Brahms, il genio ateo che scrisse un’opera corale
Scelta politica: la volontà di aderire al Protestantesimo per fare un manifesto ideologico
Johannes Brahms, il genio ateo che scrisse un’opera corale
di Paolo Isotta


Con questo articolo concludo la serie dedicata ai rapporti fra la Riforma e la musica, per il quinto centenario delle tesi di Lutero. Abbiamo visto il caso di un zelante adepto del Protestantesimo, Mendelssohn, il quale, seguendo Goethe, fu capace di cantare altrettanto bene il mondo pagano. Vediamo adesso il caso di un ateo, Johannes Brahms, che con la sua alta arte canta del pari il mondo pagano e quello della Riforma.
Brahms nacque nel 1833. Vent’anni dopo di Wagner. Questi proveniva da una famiglia cattolica, caso non infrequente in Sassonia, giacché la famiglia reale era adepta di questa religione. Ma i motivi politici forti del Wagner maturo, ossia l’adesione all’idea della Germania imperiale, lo fecero convertire, insieme con la terribile moglie Cosima, al Protestantesimo. Fra i progetti drammatici non realizzati Wagner aveva abbozzato la sceneggiatura di un’opera dedicata alle Nozze di Lutero. Del Corale luterano egli fa una glorificazione impareggiabile ne I Maestri Cantori di Norimberga, l’Ouverture dei quali è un pezzo di una rifinitura contrappuntistica tale da esser degna di Bach. Ben vero, l’ultimo capolavoro, il Parsifal, è un’appropriazione – e insieme stravolgimento – del dogma eucaristico che torna al cattolicesimo: la forza dell’arte prevale su quella dell’ideologia.
Brahms e Wagner si odiavano; ma la rifinitura contrappuntistica delle opere di Brahms, uno dei più grandi cultori di Bach che la musica abbia, è pari. A Brahms non piaceva il Dramma Musicale, pur riconoscendo la superiore statura artistica del collega. Wagner amava molto le opere pianistiche dell’Amburghese; diede uno sprezzante giudizio di Un Requiem Tedesco, dicendo che questo così dotato compositore aveva indossato la parrucca dell’Alleluja. E ciò, per certe Fughe corali ispirate insieme a Bach e a Händel, proprio come quelle di Mendelssohn.
Brahms, dice Furtwängler, “compone con la rassegnazione di chi ha il culto dei classici”. Così si spiega che un ateo scriva questa monumentale, e meravigliosa, opera corale, facendo una silloge di testi scritturali contenenti la promessa della vita eterna. Il motivo è ancora una volta politico: Brahms, pangermanista più di Wagner, vuole aderire al Protestantesimo per fare un manifesto ideologico. Infatti, Un Requiem Tedesco non è un’opera liturgica. Siccome le ragioni dell’arte sono anche qui più forti, esso è un capolavoro a onta del motivo che ne ha provocato la creazione; e la sensibilità dell’ateo si sente tutta, perché il brano più ispirato è quello che canta che “la carne è come l’erba, e tutta la gloria dell’uomo è come il fiore dell’erba”.
Brahms era, come Mendelssohn, un cultore di Goethe. Così ha lasciato opere corali di spirito, o protestante in senso manierista, come la Rapsodia per contralto, o francamente pagane, come il Canto delle Parche; e così è il Canto del destino, su versi di Hölderlin. Ma il suo rapporto con il Protestantesimo non va circoscritto alla politica. È anche un omaggio struggente, di un Maestro che si sentiva un postumo rispetto a quelli che considerava i veri grandi, alla tradizione dei polifonisti, da Schütz in poi, degli organisti, da Buxtehude in poi, del sommo Bach. Nei tardi anni scrisse Mottetti per coro su testi liturgici; e l’ultima sua opera, un omaggio a Bach, sono gli undici Preludi-corali per organo. L’ultimo è O Welt, ich muss dich lassen: O mondo, debbo abbandonarti. Non possono ascoltarsi, questi Preludi, senza commuoversi.