Il Fatto 21.5.18
“Così Netanyahu e Trump vogliono sterminarci”
Il
teorico della “terza via” non-violenta: “Anche Hamas ha abbandonato la
lotta armata. Proprio oggi che i partiti palestinesi in questo sono
uniti arriva l’offensiva di Usa e Israele”
Le proteste palestinesi represse da Israele a Gaza: oltre cento vittime da una parte sola
di Cosimo Caridi
“Hamas
ha abbracciato la nostra strategia non-violenta”. Mustafa Barghouti è
conosciuto come il leader della “terza via” né Fatah, né Hamas. Il suo
viaggio nella politica parte da lontano. Studia medicina nell’ex Unione
Sovietica, sono gli anni ’70. Torna in Palestina e inizia la sua
attività di volontariato. Ma è solo in piena seconda Intifada, nel 2002,
che fonda il suo partito: Iniziativa nazionale palestinese. In quegli
anni il Barghouti famoso è Marwan, suo cugino. Era alla guida di Tazim,
l’unità speciale delle Brigate dei Martiri di al Aqsa, il braccio armato
di Fatah. Attentati, arresti, assassinii, uno dei momenti più
sanguinosi del conflitto israelo-palestinese. Marwan perse la sua lotta,
Israele lo ha incarcerato e nel 2004 condannato a cinque ergastoli.
Moustafa da allora, senza fare sconti a Israele, si batte per cambiare
le modalità di resistenza palestinese. Dopo la vittoria di Hamas a Gaza
nel 2006, e la guerra civile per il controllo della Striscia, Barghouti è
diventato uno dei negoziatori più ascoltati per la riunificazione
nazionale tra Fatah e “Hamas, che ha abbandonato la lotta armata e con
gli altri partiti palestinesi ha aperto una nuova fase della
resistenza”.
Qual è il bilancio di questa ultima ondata di protese?
Sono
morti più di cento palestinesi, 10mila sono feriti. Almeno 5mila
persone sono state colpite dai proiettili dei cecchini. Nessun
israeliano ferito. La nostra è una resistenza non-violenta. I militari
israeliani hanno aperto il fuoco contro manifestanti pacifici. Il
governo di Tel Aviv dice che i morti erano tutti militanti di Hamas, non
è vero. E anche se lo fossero chi gli ha dato il permesso di sparargli.
Tra i morti ci sono giornalisti e personale medico. È contro ogni legge
internazionale.
Ma quasi tutti i media hanno parlato di “scontri”.
Quelli
che hanno sparato sono militari molto addestrati, la cui sicurezza non
era minacciata in alcun modo. Hanno colpito a grande distanza uomini e
donne disarmati.
Quella di Gaza era una marcia non-violenta? Con pietre e molotov?
Assolutamente
sì. Sono oltre 15 anni che usiamo tecniche non-violente in tutta la
Cisgiordania. Le manifestazioni settimanali contro il muro sono
l’esempio più evidente. Abbiamo anche vinto molte battaglie giuridiche:
facendo spostare il muro e ottenendo lotti di terra sottratti dai coloni
ai contadini palestinesi. Da anni ho iniziato un dialogo con Hamas,
perché adottassero metodi di lotta non-violenta anche nella Striscia. Lo
hanno fatto. Le manifestazioni di queste settimane, a cui hanno aderito
tutte le forze politiche nazionali, sono ispirate alle marce di Martin
Luter King.
È stato un momento molto violento della storia statunitense. Arresti, pestaggi e King è stato assassinato.
Israele
sta facendo lo stesso con i palestinesi e non solo a Gaza. Per anni
questa violenza è stata a bassa intensità, la settimana scorsa è
sfociata in un massacro. Ma le modalità sono sempre le stesse. Nel 1996,
durante una manifestazione pacifica, sono stato colpito da un cecchino.
Due proiettili. I frammenti di quelle pallottole sono ancora nella mia
schiena.
Negli USA l’obbiettivo dei suprematisti bianchi era il
mantenimento dello status quo. Il primo ministro Benjamin Netanyahu
vuole che le cose restino invariate?
Netanyahu vuole distruggere
completamente la nostra società, il suo obbiettivo è la pulizia etnica
della Palestina. Vuole uccidere lo Stato palestinese. Per farlo sta
creando un sistema di bantustan, dividendo i palestinesi, rendendo
impossibile spostarsi da Ramallah a Gerusalemme o Gaza. Ha costruito
muri e check-point. Vuole l’apartheid. E tutto questo facendo sembrare
Israele come la vittima e non il carnefice.
Come è cambiata la politica israeliana con la nuova amministrazione degli Usa?
Donald
Trump tratta Israele come una questione di politica interna. Come si
trattasse del 51° Stato americano. La lobby israeliana non è mai stata
così potente. Importanti finanziatori della campagna elettorale sono
investitori nelle colonie in Cisgiordania. A Washington stanno nascendo
nuove alleanze tra le parti più conservatrici del paese e le lobby
sioniste. Il vicepresidente Mike Pence fa parte del movimento
conservatore evangelico che vuole dettare il futuro del Medioriente:
spingono Trump a intervenire sempre di più nella politica israeliana.
Gli evangelici vogliono portare tutti gli ebrei in Palestina. Credono
che questo sia un passaggio forzato per l’armagedoon, la fine del mondo.
Sono il vero motore dello spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a
Gerusalemme.
Cosa cambia nello scacchiere mediorientale?
Primo
obiettivo di Israele è l’Iran. Netanyahu sta tentando di provocare una
reazione di Trump contro Teheran. Che sia Hezbollah o l’Iran non
importa, Israele vuole mostrare la propria forza militare e facendolo si
trascineranno dietro gli Usa.
Israele non considera più i palestinesi come minaccia?
Netanyahu
ritiene di avere un controllo totale e definitivo sui Territori
palestinesi. Ora vuole espandere le zone d’influenza: il Golan siriano è
il suo primo passo, per poi allargarsi ad altre aree della Siria. Per
appoggiare questa fame di potere l’amministrazione statunitense sta
tentando di normalizzare i rapporti tra i paesi arabi e Israele,
lasciando irrisolta la questione palestinese.