Il Fatto 21.5.18
Erdogan si prende i Balcani: “L’Ue non vi vuole, io sì”
A Sarajevo l’unico comizio elettorale in Europa prima delle elezioni turche del 24 giugno
Oltre diecimila manifestanti ieri a Sarajevo per il turco Erdogan
di Cosimo Caridi
L’Europa
è il suo sogno proibito e il suo più grande incubo. L’Unione non lo
ama, ma non per questo Recep Tayyip Erdogan si arrende. Tre paesi membri
gli hanno vietato di far campagna elettorale sul proprio territorio.
Allora il Sultano ha organizzato un comizio in quell’Europa che non è
ancora Unione. “La Turchia non lascerà mai sola la Bosnia sulla strada
delle integrazioni euroatlantiche – ha detto Erdogan dopo un incontro
con Bakir Izebegovic, attuale presidente di turno della presidenza
tripartita bosniaca – e non ha mai avuto ‘intenzioni nascoste’ nei
confronti della Bosnia se non la prosperità del Paese in particolare sul
piano dell’economia”.
Dichiarazioni che suonano grossomodo così:
“Se l’Ue non vi vuole ci siamo noi e abbiamo intenzione di investire
qui”. La Bosnia Herzegovina ha fatto richiesta di adesione all’Ue, ma ci
potrebbe volere oltre un decennio prima che Sarajevo entri a far parte
del club di Bruxelles. Intanto Erdogan investe e costruisce. Tra le
promesse del presidente turco, reiterate nel bilaterale con Izebegovic,
c’è persino la costruzione de “l’autostrada della pace” tra Sarajevo e
Belgrado.
Ieri quasi 20mila turchi hanno accolto Erdogan nella
capitale bosniaca. Bandiere rosse, con luna e stella, e foto del Sultano
hanno tappezzato lo Zetra, il palazzetto olimpico di Sarajevo. “Siamo
pronti a tutto per lui, anche a morire se ce lo chiederò”, ripete un
cittadino turco, residente a Colonia, arrivato in Bosnia in autobus, 28
ore di viaggio. Dopo il tentato golpe del luglio 2016 il culto del
presidente è cresciuto a dismisura. Cavalcando questo sentimento, nella
primavera del 2017, un referendum molto controverso ha trasformato la
Turchia in una Repubblica presidenziale, con un capo di Stato dai poteri
quasi illimitati. L’assetto del Paese non sarebbe dovuto cambiare fino
alle elezioni previste nel novembre 2019. Erdogan non ha potuto
aspettare, le ha anticipate di 18 mesi, fissando le consultazioni per il
prossimo 24 giugno. Oggi la forbice tra Akp, il partito del Sultano, e
l’opposizione si sta stringendo. Erdogan, per assicurarsi la rielezione,
ha bisogno dei voti della diaspora turca. Sono circa 3milioni gli
aventi diritto al voto che risiedono all’estero, di questi oltre
1,4milioni vivono in Germania. Ieri dal palco ha parlato anche a loro.
“Non
si è piegato alla cancelliera Angela Merkel – ha spiegato un
manifestante bosniaco alla tv pubblica – è un musulmano, un esempio per
il suo Paese e per il nostro”. Sin dagli anni ’90, quando il Sultano era
solo il sindaco di Istanbul, la Turchia ha giocato un ruolo di primo
piano nella ricostruzione post bellica. E non solo in Bosnia. Se
l’Arabia Saudita, e quindi il wahabismo, ha aumentato la sua influenza
in medioriente, la finanza islamica ottomana ha sostenuto le comunità
balcaniche. Oggi camminando per Tirana come Pristina o Sarajevo i
minareti più alti delle moschee sono longilinei e decorati come da
tradizione turca.