Il Fatto 20.5,18
Fischi, rabbia e ribellioni: il Pd non decide e implode
L’Assemblea
approva un documento di mediazione che rinvia tutto di un mese: 221 i
contrari. Martina resta reggente, Renzi se ne va senza parlare
di Wanda Marra
Non
decidere: alla fine di una giornata convulsa e sbrindellata,
l’Assemblea del Pd raggiunge quest’obiettivo. Traduzione per i non
appassionati di Pd: dopo i ballottaggi delle amministrative ci sarà
un’altra Assemblea che dovrebbe far partire il congresso in autunno o
forse all’inizio del 2019 (con quale guida del frattempo? chissà);
Martina rimane reggente (cioè un mezzo-segretario); Renzi conferma le
“dimissioni irrevocabili”, ma nel vuoto di potere formale resta
segretario ombra. L’Assemblea di ieri certifica un dato, anzi due. Uno:
nessuno sa chi ha la maggioranza. Due: il partito – a forza di non
decidere – è imploso tra ribellioni, rabbia, sfoghi.
Ore 11 e 15.
L’Assemblea sarebbe convocata alle 10 e 30, ma la trattativa è in corso.
Girano due documenti: uno dei renziani, che chiedono il congresso in
autunno, con il partito gestito da Matteo Orfini. L’altro che vuole
eleggere Martina segretario fino al congresso, entro l’anno. All’entrata
dell’hotel Ergife si materializza Simona Malpezzi, senatrice “premiata”
da Renzi con ben 6 pluricandidature, trolley rosso e tacchi a spillo.
Sepolta dalle telecamere.
Ore 11 e 50. Le note dell’Inno nazionale
aprono la riunione. Gentiloni, Minniti, Orlando, Martina, Franceschini,
Boschi cantano stralunati. Le telecamere a circuito chiuso inquadrano
Renzi sui versi “Siam pronti alla morte”.
Ore 12. Orfini illustra un
documento, sul quale c’è l’accordo dei big per modificare l’ordine del
giorno. Non parlare del segretario, ma della situazione politica. La
platea fischia. “Anche basta”, dice lui, in versione capoclasse: 397 sì,
221 no, 6 astenuti. I big alzano le deleghe, tra i no i seguaci di
Andrea Orlando.
Ore 12 e 15. Caccia al ribelle. Chi ha votato no,
contravvenendo alle indicazioni di tutto il gruppo dirigente? “Sono
state le anime calde delle varie tifoserie, visto che l’accordo è
arrivato tardi”, dice un alto dirigente dem. La giornata porterà
chiarezza: il “no” è stato un afflato spontaneo della platea, davanti
all’ennesima non decisione, riconducibile a tutte le componenti. Con il
lasciar fare dei big, tanto per continuare la guerra.
Ore 12 e 30.
Gruppi di delegati furibondi iniziano a defluire. “Che ci hanno chiamato
a fare?”, la domanda. “Con un voto come questo, che dice no a un
documento della presidenza, è morta una classe dirigente”, commenta
Katia Tarasconi, consigliera Pd in Emilia Romagna. Nel frattempo,
Martina fa l’intervento introduttivo. “Rilanciare un centrosinistra
nuovo, alternativo a M5S, Lega e a FI”. Platea distratta. “Se tocca a
me, tocca a me”, rivendica. Con ovazione. “Si è portato la claque. Hanno
convocato gente apposta”, commentano i delegati tra di loro.
Ore 13 e
45. Renzi si fa qualche selfie e se ne va senza aver neanche sfiorato
il palco: altro che relazione per spiegare la sconfitta. “Se parlo
sbaglio, se non parlo sbaglio”, si lamenta coi suoi. Ma poi: “Ho
stravinto”. La conta l’ha evitata, a che serve questa vittoria si vedrà.
Prima di lui era scivolato via Minniti. Poi se ne va Gentiloni.
Franceschini insiste per votare la relazione di Martina. “L’accordo non
era questo”, i renziani iniziano ad andarsene.
0re 14 e 15. I
renziani si attribuiscono il 58% dell’Assemblea, Franceschini &
C. si annettono i voti negativi al documento di mediazione e si vedono
maggioranza.
Ore 14 e 30. L’intervento di Roberto Giachetti segna un
“rompete le righe” psicologico. “Quando sento Orlando che dice ‘abbiamo
sbagliato a non approvare la legge sull’ordinamento penitenziario’, mi
viene da chiedere abbiamo chi? Tu eri il Guardasigilli e Gentiloni il
premier”, dice. Fischi, urli, boati. Gente incredula in sala. Orlando
replica: “La riforma dell’ordinamento penale l’avete tenuta ferma un
anno perché c’era la campagna per il referendum. Ecco, ora l’ho detto”.
Intanto Cuperlo delinea le due strategie per due Pd: “Ricostruire nella
società un’alleanza”, oppure “creare una union sacrée delle forze
europeiste alla Macron”.
Ore 15 e 50. Marcucci dà il via libera al
voto per Martina dei renziani rimasti. Retropensiero: sempre un semi
reggente resta. Risultato: 294 a favore, 8 astenuti.
Ore 16.00. La
delegata di Tor Bella Monaca, Pina, lancia la tessera verso la
presidenza e incarna il pensiero di molti: “Al congresso nun me chiamate
più”.
16 e 20. Strategie. Defilato, in un angolo, c’è Nicola
Zingaretti. Lo aspettano tutti come candidato per il futuro congresso.
Anche Gentiloni (che non parla con Renzi da due mesi). Lo stesso ex
premier s’immagina di portargli il suo pacchetto di voti. Extrema ratio.
Ma è solo questione di tempo: uno dei due Pd resterà e uno uscirà.
Ammesso che resti qualcosa.