Il Fatto 14.5.18
Tra l’Orso zarista e il Leone inglese è duello tra le rupi del Caucaso
Quanto più la Francia va verso gli Usa, scalzando la Gran Bretagna, tanto più Germania e Russia vanno a ritrovarsi
di Pietrangelo Buttafuoco
Germania
+ Russia uguale Prussia. E dunque Kant, il sangue parente, in una
parola, l’Europa. In direzione dell’Asia. Sono addizioni spericolate,
quasi un esercizio caricaturale, magari una somma dada, ma non se ne va
via nulla della storia. Meglio: non fa che tornare – inaspettatamente
non fa che arrivare – ciò che da sempre si forgia nell’istinto. L’astro
nascente di Emmanuel Macron appanna la pur robusta leadership di Angela
Merkel.
Il giovane presidente francese irrompe nella narrazione
addomesticata della liberal-crazia, ma il gioco delle ombre – quel che
si risolve nel Grande Gioco delle potenze – riposiziona i pezzi dello
scacchiere internazionale. Quanto più la Francia va verso Donald Trump,
scalzando perfino la Gran Bretagna (che degli Usa è incestuosa
matrigna), tanto più Germania e Russia vanno a ritrovarsi. L’aggregarsi
continentale va incontro ai gasdotti – ben oltre il profilo beccuto di
Gerhard Schroeder, ex cancelliere tedesco, oggi a capo del consorzio
Nord Stream AG di Gazprom – in direzione di un destino. Ogni 9 maggio, a
Mosca, la Giornata della Vittoria – in quella che i russi chiamano
“Grande Guerra patriottica” – rinnova il corpo a corpo con la Germania e
non, come in tutto il mondo, contro un generico tabù ideologico. Il 9
maggio dei russi, non è – per intendersi – un 25 aprile. E Berlino, di
converso, ogni 9 maggio fa catarsi di quell’immane catastrofe che fu
l’assedio della Wehrmacht in Russia. Lo fa nel verso di un’inimicizia
consanguinea e non di un odio reciprocamente estraneo quale fu invece la
guerra di Napoleone Bonaparte contro Il lago dei cigni o – per
interposta digressione imperiale – lo scontro dei fedelissimi cosacchi
del Don contro l’Inghilterra, ossia il duello tra l’Orso zarista e il
Leone londinese tra le rupi del Caucaso, lungo la via della Seta.
Le
stesse teorie di Carl Schmitt – il tracciato geopolitico segnato dalla
dialettica di Terra e mare – trovano ancora applicazione su questi
profili laddove la Gran Bretagna di ieri s’invera negli Stati Uniti di
oggi per decretare perpetua ostilità. Con la Russia di prima. Con quella
di adesso. E con quella di domani.
Non se ne va via niente di ciò
che perdura nei popoli. Una rivoluzione come quella bolscevica e la
conseguente instaurazione del sistema sovietico (ateo e materialista)
non ha cancellato quel qualcosa che trova definizione tra le categorie
metafisiche. E cioè – specificatamente – lo spirito russo.
È
l’azzardo del dire dell’indicibile, lo spirito. Ed è, a farla facile,
come un istinto. Con la reiterazione dei segni, dei simboli e degli
urrà. Come quelli che accompagnano – ogni qualvolta appaiono tra le
parate, a Mosca – le insegne dell’Orda Bianca, le armate di Ungern Khan,
il barone Roman Nicolaus von Ungern-Sternberg, il “barone pazzo, il dio
della guerra” che trova morte il 15 settembre 1921 dopo aver sollevato i
mongoli in direzione di un destino.
Tedesco e russo, asiatico ed europeo.