Il Fatto 12.5.18
M5S-Lega: i rischi dello strano patto
di Gianfranco Pasquino
Al
momento, non so quanto temporaneamente, hanno molto di che rallegrarsi
tutti coloro che volevano il governo dei “vincitori”. Sì, certo, le
Cinque stelle sono il partito più votato e la Lega ha addirittura
quadruplicato i suoi voti dal 2013 al 2018. Quindi, il loro eventuale
governo non tradisce il mandato elettorale, anzi, sarebbe il modo
migliore, ancorché non l’unico, per tradurlo nei fatti. Tuttavia, nelle
democrazie parlamentari i governi non sono mai una semplice faccenda
numerica. Per fare uno solo dei diversi esempi possibili, in Portogallo,
il partito più votato, Pds, conservatori, sta, alquanto irritato,
all’opposizione di una coalizione di sinistra (già, proprio così).
Comunque,
i numeri parlamentari italiani offrivano/offrono almeno tre altre
possibilità. I governi si costruiscono su affinità politiche e
compatibilità programmatiche, tutte da verificare. Sono certamente molto
soddisfatti tutti quegli elettori che hanno scelto pentastellati e
leghisti per esprimere il loro forte dissenso e risentimento nei
confronti della politica italiana com’è, da tempo, dei politici al
governo e delle loro politiche. Quasi nulla di tutto questo può essere
definito con il termine tanto onnicomprensivo quanto vago, populismo. È
facilmente accertabile che qualche striscia di populismo c’è, eccome,
sia nel M5S sia nella Lega, ma sconsiglio di usare il termine contro
tutto quello che non piace, come fanno imprenditori, giornalisti,
professori, spesso parte dell’establishment e come tali non sempre
erroneamente criticati.
Cinque stelle e Lega rappresentano con
notevoli diversità elettorati insoddisfatti e trascurati che,
giustamente, adesso, pensano di avere maturato la loro rivincita. Con la
Lega molto forte al Nord e con il Movimento dominante nel Sud Italia,
mi avventuro a sostenere che la loro azione politica potrebbe portare a
una sorta di ricomposizione dell’unità nazionale. Alla prova dei fatti,
chi sa se le diversità saranno foriere, invece, di scontri? Non ho alcun
dubbio che i più felici dell’eventuale governo Di Maio-Salvini sono il
due volte ex-segretario del Partito democratico Matteo Renzi e i
renziani di tutte le ore, compresa quella della nomina a parlamentari.
All’opposizione andranno a rigenerarsi e a fare un partito più bello e
più grande avendo evitato un devastante ritorno alle urne con
conseguente perdita della poltrona. Nel comfort dell’opposizione magari
non rappresenteranno quelli fra i loro elettori che avrebbero preferito
per sé, ma anche per il paese (sì, resuscito la “funzione nazionale” dei
partiti, di sinistra, sic), un governo Cinque Stelle-Partito
democratico al nascituro governo Pentastellati-Leghisti. Infatti, è
sbagliato sottovalutate i rischi di questa inusitata coalizione ed è più
che ragionevole preoccuparsi della inesperienza e incompetenza dei
futuri probabili governanti.
Se ne preoccupa e molto il presidente
della Repubblica al quale spetta, sembra l’abbiano finalmente capito
sia Di Maio sia Salvini, nominare il presidente del Consiglio.
Mattarella
terrà certamente conto delle loro preferenze ma, oramai, lo ha ripetuto
solennemente tre volte, sceglierà qualcuno che sappia che l’Italia
nell’Unione europea ci deve stare, convintamente e attivamente. Non è
possibile dire quanto effettivamente abbiano perso gli europeisti,
purtroppo per loro privi di guida e di grinta (Macron non abita qui).
Infatti se, da un lato, Grillo, che riesuma la proposta di un
incostituzionale referendum sull’euro, dà un assist al sovranista
Salvini, dall’altro, dopo la sua processione in Europa, Di Maio sembrava
avere capito che esiste un vincolo esterno, dall’Italia liberamente
accettato e che, rispettandolo, si creano anche le premesse per chiedere
credibilmente di cambiarlo.
Hanno perso tutti coloro che
pensavano di fare politica con gli annunci, con le narrazioni, con le
prevaricazioni senza andare a parlare con gli elettori, offrendo loro
una legge elettorale che consentisse di esercitare potere sulla scelta
dei candidati e dei partiti, con il voto disgiunto e senza la tremenda
manipolazione delle pluricandidature. Infine, hanno di che riflettere e
dolersi tutti coloro che, qualche volta pur consapevoli che la politica è
cambiata e deve certamente ancora cambiare, hanno mantenuto vecchi
riti, conditi con qualche esagitazione, che si sono tenuti lontano dagli
elettori, non proponendo spiegazioni, non offrendo partecipazione e
rinunciando, per insipienza e per comodità, nonostante tutte le
avvisaglie dell’insoddisfazione che venivano da più fonti, sondaggi
inclusi, a cercare di (ri)dare dignità alla politica cominciando con i
loro comportamenti personali. Ricominciare da capo non sarà sufficiente.
Senza conoscenza del passato (una sola Repubblica democratica e una
Costituzione da rispettare e attuare) non andremo da nessuna parte.