Il Fatto 12.5.18
Gli amori comunisti di Luciana Castellina
“Vi racconto le passioni che non finirono in orrori”
L’autrice presenta il libro oggi al Lingotto
di Luciana Castellina
Pubblichiamo
di seguito un testo scritto per noi da Luciana Castellina sulle ragioni
che l’hanno portata al libro “Amori comunisti”, dal 10 maggio in
libreria. L’autrice lo presenterà oggi al Salone del Libro di Torino.
Mi
rendo conto che col titolo di questo mio libro – Amori Comunisti –
passerò per un’imbrogliona. Appena ne parlo, non c’è nessuno che non mi
guardi con soddisfatta complicità, chiedendomi se si tratta dei miei
amori o di quelli del Pci. Insomma: di un libro di pettegolezzi, che a
tutti, come tale, fa gola. Visto che così non è, dopo averlo letto mi
giudicheranno un’impostora.
No, non parlo di amori miei, né di
casa nostra. Sono amori comunisti stranieri, vissuti da persone che mi è
capitato di incontrare, e di cui, un po’ per avventura e un po’ per
curiosità, ho finito per conoscere bene la storia. E questa storia mi ha
coinvolto, commosso, fatto soffrire.
Perché si tratta di amori
drammatici, intrecciati fino in fondo alle vicende dolorose e
travagliate dei rispettivi paesi, che hanno segnato profondamente la
vita dei protagonisti. Come è sempre accaduto ai comunisti e a tutti
quelli che hanno vissuto con dedizione totale una grande passione
politica.
Sono storie che conosco da molto tempo e che mi hanno
sempre accompagnata. Se ho deciso finalmente di raccontarle è anche per
una ragione polemica che qui vi confesso: stufa di sentir parlare degli
errori e orrori comunisti, ho sentito il bisogno di raccontarne gli
amori: sono tre storie esemplari – per fortuna ci sono comunisti che in
tempi e in luoghi diversi hanno potuto condurre una vita normale – e
tuttavia analoghe a quelle di tanti sconosciuti, che hanno pagato un
prezzo terribile per le loro battaglie: l’amore e la vita.
Furono
grandi amori, a dimostrare che l’amore, come si usa dire, vince ogni
cosa. Per infelice che sia, è sempre la cosa più bella che ti possa
capitare.
Non si tratta solo di vicende amorose, ma anche di
pagine di storia relativamente sconosciute. Nemmeno io le conoscevo bene
e sono state le vicende personali dei loro protagonisti a rivelarmele
nei particolari. Storie che in parte mi sono state direttamente
raccontate e in parte ho investigato in libri poco noti.
Due di
queste riguardano paesi bellissimi ma disgraziati, direi da secoli e
fino ai nostri giorni: la Turchia e la Grecia. Ho conosciuto entrambi –
così credevo – a fondo, perché da giornalista mi sono dovuta occupare
molte volte delle loro sfortunate vicende, facendo negli ultimi
sessant’anni avanti e indietro dai loro territori. Ma sapevo poco di
cosa fosse stata davvero, nel contesto greco, la particolarissima storia
di Creta, dove nel ‘41 va in scena – per opera della Luftwaffe – la
prima invasione dal cielo della storia militare; dove pastori greci e
sofisticati ufficiali britannici collaborano, pur nell’estrema,
reciproca diffidenza, contro l’occupazione tedesca ma dove solo qualche
mese dopo la liberazione i combattenti della Resistenza tornano in
montagna per sfuggire alle aggressioni fasciste. È l’inizio di una
guerra civile che lascerà senza alternativa i guerriglieri cretesi che,
chiusi dentro l’isola, non potranno, una volta sconfitti, mettersi in
salvo oltre confini territorialmente contigui.
E ancora meno
sapevo della Turchia subito dopo la caduta dell’Impero Ottomano, della
sorte di una generazione che si entusiasma per il modernizzatore Atatürk
per poi subire condanne spaventevoli. Fra le vittime un grande poeta,
Nazim Hikmet, delle cui prigioni sapevo per via delle sue poesie dal
carcere, ma non le rocambolesche avventure.
Del paese dove si
colloca la terza storia – gli Stati Uniti – ero convinta di sapere
tutto; e anche delle persecuzioni imposte ai comunisti durante il
maccartismo. Ma anche in questo caso, fatta eccezione per i processi di
cui furono vittime illustri tanti sceneggiatori di Hollywood, mi
illudevo: ero lontana dall’immaginare il numero dei molti costretti alla
clandestinità e al carcere.
Mi rendo conto che sto facendo la
recensione di un libro scritto da me, e questo è imbarazzante. Perché il
genere, se non nei rari casi di clamorose stroncature, è elegiaco. E
per non dover scegliere fra vanità e denigrazione, smetto subito.