domenica 6 maggio 2018

Corriere La Lettura 6.5.18
Medico, leggi Dostoevskij
La letteratura aiuta la scienza
di Orsola Riva


Il manuale di anatomia o Dostoevskij? I tirocini in ospedale o le Variazioni Goldberg? Che cosa conta di più nella preparazione di un buon medico? La maggior parte delle facoltà di medicina oggi sembrano concepite per fabbricare degli specialisti con una preparazione scientifica solidissima ma privi di cultura umanistica. Errore grave. Perché invece chi coltiva la lettura e ascolta la musica, chi ama andar per musei, al teatro o al cinema, mostra di avere una grana umana più fina di chi non lo fa. O almeno questo è quanto risulta dall’indagine realizzata da due storiche scuole di medicina americane — la Thomas Jefferson University di Filadelfia e la Tulane University di New Orleans — su 739 studenti. Quelli culturalmente più attivi sono anche i più saggi e i meno depressi.
Lo studio ha dimostrato che c’è una correlazione diretta fra fruizione attiva e passiva dell’arte e della letteratura e tre qualità indispensabili per un buon medico: l’empatia, la saggezza e la cosiddetta tolleranza dell’ambiguità, intesa come la capacità di destreggiarsi in situazioni ambigue senza perdere la calma e di elaborare soluzioni creative a situazioni complesse. «Una qualità importantissima che le nostre università purtroppo non coltivano. I test multiple choice — spiega da Filadelfia a “la Lettura” il dottor Salvatore Mangione, che ha diretto le ricerca — insegnano a pensare che una cosa sia nera o bianca. Ma così quando i nostri studenti si trovano finalmente davanti a un letto di ospedale non sanno più cosa fare. E nell’ansia da controllo prescrivono al paziente un esame dopo l’altro. Non solo non fanno il suo bene, ma finiscono anche per costare più del necessario».
Le scuole di medicina sfornano legioni di giovani dottori fabbricati con lo stampino: camici bianchi preparatissimi da un punto di vista disciplinare, ma del tutto inadeguati ad affrontare la condizione umana, dice ancora Mangione. «Il medico non è un meccanico e il paziente non è un carburatore. Un buon dottore deve sapersi connettere con il malato per creare quella fiducia che è una componente essenziale della guarigione. La medicina è un’arte che usa la scienza. Non puoi separare un aspetto dall’altro. Senza la scienza saremmo fermi agli sciamani. Ma senza cultura umanistica ci consegniamo ai tecnici».
Ecco perché nonostante gli straordinari progressi fatti dalla ricerca negli ultimi anni, l’immagine pubblica del medico appare logorata: «Ma come può un medico entrare in contatto con il paziente — aggiunge Mangione — se metà del suo tempo lo passa a immettere dati nel computer? . Lo si vede bene anche nelle serie tv: il George Clooney di ER era molto più simpatico di Dr. House». Non a caso i medici in America sono la categoria professionale con il più alto tasso di suicidi (circa 400 casi l’anno) e una tendenza in crescita ad andare in pensione prima del tempo.
Gli antichi dicevano «medico cura te stesso». Mangione suggerisce di curare i medici con iniezioni di arte, musica e letteratura. «Io insegno semeiotica, la disciplina che studia i sintomi e i segni clinici della malattia. L’esame obiettivo di un paziente è la parte più artistica della medicina. Letteralmente. Diversi studi condotti prima a Yale e poi a Harvard hanno dimostrato che l’esposizione alle arti visive migliora la capacità diagnostica del 40 per cento». Per questo alla Jefferson University organizzano uscite ai musei ma anche corsi di disegno, scrittura e teatro. «Il disegno — dice ancora Mangione — insegna a guardare meglio le cose, mentre scrittura riflessiva e teatro hanno una funzione catartica. Fino a non molto tempo fa in Germania gli aspiranti medici venivano incoraggiati a studiare uno strumento musicale. Ogni scuola di medicina aveva una sua orchestra. Quando negli anni Settanta questa tradizione tramontò, “Die Zeit” pubblicò un articolo allarmato in cui si chiedeva: Che medici avremo d’ora in poi?».
La conclusione della ricerca pubblicata sul «Journal of General Internal Medicine» è che se si vogliono fabbricare dei medici più tolleranti, empatici e resilienti bisogna reintegrare le discipline umanistiche nel curriculum medico, modificando anche i test di accesso che non tengono in alcun conto nessuna di queste qualità umane. Come conclude Mangione: «Negli ultimi cent’anni medicina e arte hanno seguito due strade separate. È ora di riconnettere l’emisfero sinistro del cervello con il destro. Per il bene del paziente. E anche del medico».