domenica 20 maggio 2018

Corriere La Lettura 20.5.18
Islamisti e neonazi, i gemelli diversi
di Danilo Taino

Logica vorrebbe che due terroristi, uno d’estrema destra e xenofobo, uno islamista e anti-occidentale, messi nella stessa stanza mirassero alle rispettive giugulari. Non è scontato. Potrebbero benissimo scambiarsi opinioni su complotti globali giudaico-massonici, bestemmiare contro gli Usa e la Ue, sostenersi a vicenda nell’odio contro la società liberale. Julia Ebner studia da più di 3 anni entrambi i mondi popolati da questi estremisti: li ha incontrati, ci ha parlato, è andata con loro alle manifestazioni, li ha seguiti sui social. La sua conclusione è che hanno straordinari punti di contatto e, anche se apparentemente armati uno contro l’altro, si alimentano a vicenda.
Ebner è una ricercatrice non ancora trentenne del britannico Institute for Strategic Dialogue. L’anno scorso ha pubblicato il risultato del suo lavoro sul campo, da infiltrata, The Rage, che è appena stato tradotto in italiano da NR Edizioni (in ebook ma anche stampabile via Amazon) col titolo La Rabbia. Connessioni tra estrema destra e fondamentalismo islamista. Inizia così: «Bere sidro con militanti di estrema destra non fa parte del mio ideale di come passare una domenica mattina rilassante. Discutere della formazione di un califfato nel Regno Unito non fa parte di come trascorro normalmente il sabato sera. Nonostante questo, il 5 novembre 2016, ho interrotto la mia routine e, nel giro di 20 ore, mi sono tuffata in due mondi estremisti radicalmente opposti che, avrei presto realizzato, sono le due facce della stessa medaglia».
In che senso facce di una medaglia?
«Innanzitutto dal punto di vista della narrazione. Al loro interno raccontano le stesse storie, vedono gli stessi complotti internazionali. Su una serie di questioni hanno ideologie simili: antisemitismo, antiliberalismo, opposizione alla società multiculturale, ricerca della purezza. Dal punto di vista delle loro strategie, inoltre, sono complementari nell’obiettivo di dividere le società. Isis, Al Qaeda, neonazisti: cercano di polarizzare le società».
Non crede però che il lato religioso del terrorismo islamista segni un’importante differenza?
«Sicuramente la religione ha un ruolo maggiore tra gli islamisti. In realtà, anche gli estremisti della destra dicono spesso di avere riferimenti cristiani. In entrambi i casi, però, la religione è strumentale ad altro. Non è il cuore dell’ideologia e dell’attività di questi movimenti. Sia gli islamisti che gli estremisti di destra hanno come riferimento narrativo l’Armageddon, lo scontro finale, ma molti si radicalizzano non per le loro opinioni religiose. Più per motivi di identità, o per torti subiti, per il peso della globalizzazione. Certo, la religione ha un ruolo».
Il terrorismo islamista pare un movimento internazionale in qualche modo unificato. Quello di destra no.
«Questa è una differenza importante, una delle più significative. Il terrorismo islamista ha una maggiore coerenza complessiva. La destra è invece formata da diverse sottoculture, è più frammentata, divisa: coopera poi globalmente, attraverso internet, ma su obiettivi nazionali e in modo opportunistico, volta per volta».
Intende dire che l’estremismo di destra non ha obiettivi globali?
«Sì. Un’attività internazionale però l’ha. Durante la campagna per le elezioni italiane di marzo, per esempio, i movimenti estremisti di destra internazionali sono stati piuttosto attivi. Su Telegram ho potuto seguire americani che usavano lo stesso linguaggio della alt-right degli Stati Uniti e davano consigli politici agli attivisti italiani».
L’impressione è che le motivazioni degli islamisti siano di conquista, ad esempio di un califfato. Mentre quelle della destra sembrano difensive, a cominciare dall’opposizione a un’Europa islamizzata. Ciò che dovrebbe mettere i due estremismi in contrapposizione.
«In realtà sono tutti e due difensivi. Entrambe le narrative sottolineano l’oppressione a cui sarebbero sottoposti i loro popoli, le discriminazioni, le invasioni subite o temute. C’è la paura comune dell’influenza dello straniero che distrugge l’identità. Per entrambi si tratta di difendere per purificare o restare puri».
Lei ha conosciuto e frequentato molti islamisti e neonazi. Credono davvero alle storie che si raccontano tra loro?
«Certo. Non percepiscono sé stessi come estremisti. Sono membri attivi dei movimenti e sono assolutamente convinti della giustezza del proprio vittimismo o dell’indiscutibilità della cospirazione globale contro di loro. Questo giustifica anche le azioni estreme. È che vivono in un ambiente sociale che non mette mai in questione l’ideologia a cui fanno riferimento. Vivono tra loro, come in stanze insonorizzate, chiuse e isolate».
Islamisti e destra sono uniti anche dall’antisemitismo?
«Certamente. Da questo punto di vista molto spesso si sovrappongono. Le teorie cospirative con al centro gli ebrei sono diffusissime. Ci sono stati anche casi di cooperazione, ad esempio in Germania: assalti contro obiettivi ebraici e contro la sinistra condotti in collaborazione. Anche nel caso dell’attacco al supermercato ebraico a Montrouge, il giorno dopo la strage di “Charlie Hebdo”, a Parigi, si è scoperto che uno dei fratelli Coulibaly usò un kalashnikov che gli era stato procurato dall’estrema destra. Ci sono neonazisti diventati islamisti».
Ci sono altre ragioni di contatto?
«Si usano l’un l’altro per convincere la popolazione che è necessario radicalizzarsi e combattere. È un circolo di radicalizzazione che si autoalimenta, gli uni hanno bisogno degli altri. A Brema, in Germania, per esempio, nel settembre 2016, in occasione di una manifestazione organizzata dal predicatore islamico Pierre Vogel (Abu Hamza), si ritrovarono 300 salafiti, 150 militanti d’estrema destra, 200 attivisti d’estrema sinistra: ognuno marciava contro gli altri ma erano uniti nel voler creare divisione e polarizzazione. Questo è il circolo pericoloso: il rischio è che abbiano successo. Altro forte punto che li accomuna è l’essere contro società e democrazia liberali. Provocano per spingere a eccessi di reazione. Per minare i diritti civili e umani».
Vede legami ideologici e politici tra questi estremismi e i movimenti populisti in Europa e negli Stati Uniti?
«Il legame sta sempre nella narrazione. Quella degli estremisti islamici e di destra è spesso simile a quella dei populisti: i complotti, gli stranieri, il diverso, le storie ultra semplificate. L’ipersemplificazione è un grande amplificatore sia per i populisti che per gli estremisti».
Ambedue gli estremismi, con le loro ramificazioni terroriste, sono a suo avviso più il prodotto del disordine internazionale o una causa?
«Sono effetto e causa insieme. Il terrorismo islamista è certamente legato e incoraggiato dall’attività dell’Isis, di Al Qaeda. La strage dei giorni scorsi in tre chiese in Indonesia, a Surabaya, è stata condotta da un’intera famiglia, padre, madre e figli: segno che il modello di Boko Haram di utilizzo di donne e ragazzi in questo momento di crisi dell’Isis è attraente. L’atmosfera in cui si radicalizzano in Europa le destre ha invece origine nel risentimento contro i musulmani. Ma entrambi, poi, si ritrovano in un obiettivo comune che non è tanto di uccidere ma una strategia di lungo termine: creare un’atmosfera d’ostilità diffusa, di scontro».