Corriere La Lettura 20.5.18
Marx è un messia
Dialogo con la
filosofa ungherese sulla modernità (non solo l’attualità dell’autore del
«Capitale», ma di Freud, Kierkrgaard, Nietzsche), e sul futuro della
democrazia. «Al contrario di quel che si crede il nostro continente è
estraneo al liberalismo. Profondamente radicato qui, invece, è il
nazionalismo»
conversazione di Donatella Di Cesare e Agnes Heller
DONATELLA
DI CESARE — Nel 1944 suo padre Pàl Heller, ebreo austriaco, fine
intellettuale, uscì e non tornò più. Fu deportato ad Auschwitz e ucciso
il 16 gennaio 1945. Lei fu reclusa nel ghetto di Budapest a 15 anni e
sopravvisse solo perché Eichmann aveva deciso di deportare prima gli
ebrei sparsi fuori dalla città. Sebbene lei si dichiari laica, il suo
rapporto con l’ebraismo mi pare molto profondo.
ÁGNES HELLER —
Essere ebrea era per me ovvio. Come sarebbe stato possibile altrimenti
negli anni della persecuzione? Avevo 10 anni quando in Ungheria, nelle
università e nelle scuole, fu introdotto il numero chiuso. Non mi fu
possibile studiare, se non al liceo ebraico. Dal momento che ero
cresciuta in una famiglia non religiosa, pensai di provocare il rabbino
Sámuel Kandel, un uomo straordinario. Mi rivolsi a lui con sfrontatezza:
«Io non credo in Dio». Mi aspettavo un finimondo. E invece mi raccontò
una storia ambientata ai tempi dei pogrom in Ucraina. «Un cosacco,
responsabile di quei massacri, sfidò il rabbino dello shtetl, la piccola
città, intimandogli: “Sono pronto a salvare i superstiti della tua
comunità, se riuscirai a riassumere l’essenza dell’ebraismo stando in
piedi su una gamba sola”. Il rabbino disse d’un fiato: “Ama il prossimo
tuo come te stesso”». La storiella mi turbò; ancora oggi avverto quel
sentimento. «E tu — chiese il rabbino — ami il prossimo tuo come te
stessa?». Replicai: «Ci provo; non so se ci riesco». «Bene — proseguì —
allora sei una brava ebrea. A Dio non interessa che tu creda o no, ma
che tu segua le sue leggi». Per anni fui convinta che fosse solo un’idea
di Kandel; solo dopo mi accorsi che la storiella fa parte della
tradizione e capii che l’ebraismo non si occupa dell’esistenza di Dio,
bensì dell’agire in conformità alla legge. Non ci sono dogmi, ma
interpretazioni. In questo senso posso dire che sono religiosa, provo ad
esserlo. Per anni studiai allora la Torah e la storia del popolo
ebraico. Poi ci fu l’occupazione tedesca e l’olocausto degli ebrei
ungheresi. Quasi tutta la mia famiglia venne sterminata; persi anche
molti amici d’infanzia. Il rabbino Kandel fu assassinato con la moglie
dai nazisti ungheresi.
DONATELLA DI CESARE — Trovo molto
importante quello che lei osserva nel libro Breve storia della mia
filosofia, che il grande problema è perché mai sia esistita ed esista
una «questione ebraica». Giustamente lei connette antisemitismo e
antiebraismo nel bel libro Gesù l’ebreo. Rivendicando la figura di Gesù
all’ebraismo («Gesù non ha infranto la legge, l’ha radicalizzata») si
chiede perché questo fatto sia stato così a lungo taciuto.
ÁGNES
HELLER — Il mio libro è legato al rabbino Kandel, che ci parlava di Gesù
sostenendo che apparteneva alla corrente ebraica degli esseni. Per me
Gesù non è mai diventato un biondo tedesco, ma è sempre rimasto un amato
profeta. Sebbene questo primo amore abbia contribuito in modo decisivo
al mio interesse per la sua figura, quel che mi ha spinto allo studio
non è stata un’esperienza personale, bensì un interrogativo storico e
filosofico. Perché non solo i cristiani, ma anche gli ebrei hanno
dimenticato per secoli il Gesù ebreo? La questione filosofica riguarda
la memoria e l’oblio — la memoria di una comunità e l’oblio collettivo.
Perché i testi — ad esempio i testi evangelici — sono stati letti in
modo selettivo e ha prevalso sempre un’unica interpretazione? In che
modo questa lettura ha finito per alimentare un terribile e
ingiustificato odio contro gli ebrei? E perché negli ultimi 70 anni è
stato riscoperto il Gesù ebreo?
DONATELLA DI CESARE — Lei ha più
volte rivendicato il diritto di richiamarsi a Marx senza essere
marxista. E lo ha pagato a caro prezzo con persecuzioni e vessazioni. Il
suo ultimo libro su Marx, appena uscito in italiano, ha un titolo per
alcuni versi sorprendente: Marx. Un filosofo ebreo-tedesco. Che cosa c’è
di ebraico nell’opera di Marx? Questo lei si chiede. E la risposta è:
la «liberazione dell’umanità». Lei inserisce Marx in una prospettiva
messianica. Quasi come Walter Benjamin… Il ruolo messianico è quello del
proletariato.
ÁGNES HELLER — All’università, dal 1946 in poi,
sono stata allieva di György Lukács, famoso marxista. Quella è stata la
mia formazione. Tuttavia, a parte il primo volume del Capitale, non
conoscevo altro. Per quanto possa apparire paradossale, non c’erano in
quel tempo molte possibilità di studiare Marx, perché fino al 1953 tutti
i suoi libri erano «materiale secretato». Solo in seguito, quando
cominciai a leggere Marx, diventai una vera marxista, ma critica e
selettiva. Lasciai perdere il Marx economista e scelsi invece quello
giovane dei manoscritti di Parigi, che profetizza il nuovo Messia, e
cioè i «proletari di tutto il mondo». Alcune importanti tesi di Marx,
come il paradigma della produzione, mi sono sempre parse lontane ed
estranee. Era quasi obbligatorio allora definirsi marxista o
postmarxista. Ho imparato infine, grazie a Michel Foucault, che la
filosofia è personale (non privata!) e non è quindi necessario
identificarsi in uno dei tanti «ismi», per essere riconosciuti come
filosofi.
DONATELLA DI CESARE — La sua teoria dei bisogni, che
proprio in Italia ha avuto negli anni Settanta grande successo, resta
più che mai attuale. A partire da Marx, lei identifica nei «bisogni
radicali» — una vita piena di senso, un lavoro gratificante, l’esigenza
di tempo libero, cultura, amore — i bisogni che, proprio perché mirano a
una liberazione radicale, non possono essere soddisfatti in una società
ingiusta. Sono perciò antitetici ai bisogni alienanti — il consumo di
merci gratificanti, la necessità di conformarsi — che creano sempre
ulteriore assoggettamento. Nell’egocentrismo illimitato del tardo
capitalismo manca infatti sempre qualcosa.
ÁGNES HELLER — Continuo
a vedere in Marx una delle voci più radicali del pensiero moderno che
insieme a Kierkegaard, Nietzsche e Freud, ha influenzato profondamente
il mondo di oggi. In particolare Marx e Nietzsche, loro malgrado, sono
stati oggetto di una ricezione per certi versi esiziale. Nietzsche è
stato utilizzato dai nazisti, Marx da Stalin. Ma non si è responsabili
di una recezione contro cui non è possibile farsi valere (semplicemente
perché non si è più in vita).
DONATELLA DI CESARE — Sebbene lei
abbia difeso una «filosofia radicale», il suo atteggiamento verso la
democrazia liberale non è critico come si potrebbe immaginare. Lei
sostiene che non c’è bisogno di trasformazione rivoluzionaria e che le
istituzioni democratiche odierne hanno un potenziale nascosto che non
siamo riusciti ancora a liberare.
ÁGNES HELLER — Prima con la
teoria dei bisogni, poi con il saggio sulla rivoluzione della vita
quotidiana ho preso questa posizione avvicinandomi alla Nuova Sinistra.
Si è trattato anzitutto di un cambio di paradigma nell’interpretazione
di Marx.
DONATELLA DI CESARE — Nel suo libro Paradosso Europa, lei
ha più volte sottolineato giustamente la contraddizione tra diritti del
cittadino e diritti dell’uomo che segna la democrazia occidentale
almeno dalla rivoluzione francese. Nel frattempo questa contraddizione è
divenuta — io credo — un vero contrasto, anzi un conflitto: quello fra i
cittadini di uno Stato-nazione e i migranti. Di qui la crisi dei
diritti umani, calpestati ovunque, che si è tradotta in
criminalizzazione di chi, fra gli Stati, tenta ancora di innalzare il
vessillo della solidarietà. Tengo a dire che considero la prospettiva
dell’universalismo cosmopolita un fallimento; penso che occorra guardare
a un’articolata politica dell’accoglienza e allo sviluppo di comunità
aperte. Mi pare che su questo punto lei assuma una posizione che non
condivido, quando sostiene — più o meno apertamente — che i cittadini
sono sovrani, che hanno insomma il diritto di escludere, di respingere.
Per lei è valida la distinzioni tra profughi politici e immigrati
economici, che io considero invece fittizia, un retaggio della guerra
fredda. Di più: lei afferma che l’Europa si deve difendere, deve
chiudere le porte a coloro che sono «estranei» alla sua civiltà e che ne
metterebbero a repentaglio il futuro. Non le sembra una posizione
reazionaria?
ÁGNES HELLER — La Rivoluzione francese ha proclamato i
diritti dell’uomo e quelli del cittadino. Sappiamo già da tempo che i
diritti umani possono essere preservati solo dove sono garantiti i
diritti dei cittadini — come fa lo Stato. Negli ultimi anni è all’ordine
del giorno la questione del conflitto tra questi due tipi di diritti a
causa della crisi migratoria. Per quel che riguarda i diritti umani,
tutti sono nati liberi e hanno il diritto di vivere lì dove vogliono. Ma
per quel che riguarda lo Stato, i cittadini possono e devono decidere
con chi coabitare. Sono contraria a recinti e confini; ma occorre
riconoscere questo diritto dei cittadini che limita purtroppo i diritti
umani. C’è il rischio di conflitti e guerre. Ma temo soprattutto che
paure, legittime e comprensibili, verso un altro che non conosciamo,
possano essere strumentalizzate dai populisti.
DONATELLA DI CESARE
— Lo Stato nazionale mostra però oggi il suo lato peggiore, più
aggressivo e violento. Basti pensare ai muri, ai fili spinati, ai campi
di internamento per i migranti. La xenofobia dilaga, in Ungheria, ma
anche in Italia.
ÁGNES HELLER — Sì, il razzismo è presente
ovunque, in forme vecchie e nuove. L’antisemitismo è in particolare odio
per Israele. La miccia che ha riacceso il nazionalismo è stata la crisi
economico-finanziaria. I leader populisti hanno raggiunto grandi
consensi fomentando l’odio e attingendo ai sentimenti più bassi. Il
populismo autoritario ha precedenti in quello che chiamo «bonapartismo»,
un fenomeno inaugurato da Napoleone. Di fronte a problemi complessi,
che richiederebbero condivisione, responsabilità, solidarietà, si
ricorre all’uomo forte, che incarna lo Stato, rivendica verità, promette
soluzione a tutto quel che affligge il «popolo». In realtà rappresenta
interessi parziali e agisce senza scrupoli. La scorciatoia del
bonapartismo resta purtroppo una tentazione, malgrado la rovina portata
da tutti quei leader populisti che promettevano salvezza. Nel mio Paese,
l’Ungheria, il populismo di Orbán ha assunto caratteri autoritari e
sempre più preoccupanti. Ma vedo che ormai rischia di non essere
un’eccezione in Europa…
DONATELLA DI CESARE — Il sovranismo
populista, che si nutre di complottismo, odio per l’altro, stereotipi
razzisti, non è più una tendenza marginale, ma sta diventando forza di
governo.
ÁGNES HELLER — L’espressione «populismo» è fuorviante.
Perón è stato un populista, una sorta di dittatore, che tuttavia aveva
la sua forza nei sindacati. I populisti attuali, come Trump o Orbán,
sono appoggiati dalle oligarchie, più o meno velate. Oggi viviamo in
società dove i tiranni possono essere votati liberamente. Gli interessi
di classe non hanno più un ruolo significativo in campo elettorale; le
ideologie, invece, sono decisive. In Europa vedo nei prossimi anni lo
scontro tra due forze: da una parte la tradizione autoritaria,
dall’altra il federalismo, di cui il primo esempio fu Roma antica.
Certo, i partiti populisti possono vincere le elezioni, ma non governare
a lungo. La democrazia, intesa come governo di maggioranza, non basta a
garantire la libertà.
DONATELLA DI CESARE — Lei ha fatto ritorno
in Europa, malgrado il lungo esilio, prima in Australia, poi in America.
Vuol dire che ripone ancora speranze nel vecchio continente… Io penso
che l’Europa avrebbe dovuto diventare una forma politica postnazionale. E
invece è rimasta un agglomerato di Stati nazionali.
ÁGNES HELLER —
L’Europa si è ridotta a mero progetto burocratico. L’occasione mancata è
la Costituzione europea, senza la quale appare difficile fermare le
derive populiste e autoritarie. Al contrario di quel che si crede,
l’Europa, con il suo passato tetro, è estranea alla democrazia liberale.
Profondamente europeo è, invece, il nazionalismo che oggi si riafferma.
Il motivo? È mancata una coscienza europea, la costruzione di
un’identità unificante. Non si possono incolpare solo i governi; anche i
cittadini hanno perseguito interessi nazionali.
DONATELLA DI
CESARE — La liberazione delle donne è forse le rivoluzione più
significativa, perché rimuove l’unica disuguaglianza che nei secoli è
stata ritenuta ovvia, naturale. Perciò lei ha scritto, non senza una
punta di provocazione, che lo stato di minorità delle donne è oggi
«autoinflitto». Che cosa intende? Si riferisce alla paura della libertà?
ÁGNES
HELLER — Sì. La liberazione delle donne è stato anche obiettivo della
Nuova Sinistra. Sono molte le «ovvietà» dominanti messe in questione. È
una lunga e difficile storia. Ma dal 1968 a oggi noi donne abbiamo
ottenuto più riconoscimento di quanto fosse mai avvenuto prima.
DONATELLA
DI CESARE — «Oggi sosteniamo che la Nuova Sinistra è stata sconfitta,
ma è una sciocchezza». Così lei ha scritto qualche anno fa precisando
che «le speranze rivoluzionarie non possono essere realizzate, ma ciò
non significa che la rivoluzione sia un inganno». Lo pensa ancora?
ÁGNES
HELLER — La Nuova Sinistra mi ha attirato per molti motivi. Sin
dall’inizio è stata ostile al comunismo sovietico. Inoltre al suo
interno non era necessario concordare su tutto. Infine è sempre stata
internazionale — è fiorita in Francia, in Italia, negli Usa, in
Sudamerica. I suoi obiettivi erano concreti e diversi. Sotto il profilo
filosofico ha contribuito al passaggio dal moderno al postmoderno.
Questa rivoluzione per me non è sconfitta né tanto meno conclusa,
nonostante le disillusioni e, anzi, proprio per questo. Ma è chiaro che
serve mobilitare la società civile sia per ridistribuire le ricchezze
sia per coinvolgere tutti in un grande impegno per l’istruzione.
Altrimenti attecchiranno i populismi.
DONATELLA DI CESARE — Contro
i becchini della filosofia, che vanno proclamandone ormai da tempo la
fine, lei dice che la filosofia non è morta, a patto che non si riduca a
puro gioco speculativo.
ÁGNES HELLER — Occorre essere cauti
quando si parla di futuro, specie nel campo della filosofia. Nell’epoca
postmetafisica le opere filosofiche di maggior rilievo sono state
prodotte nell’ambito della fenomenologia e dell’ermeneutica. Adesso
sembra quasi che il pensiero creativo si sia esaurito. Mentre i filosofi
analitici non fanno che risolvere enigmi, gli storici coltivano una
filosofia da museo. Tutto ciò serve a poco — come i nodi di un
fazzoletto che dovrebbero ricordarci quel che non vorremmo dimenticare…
Vedo però anche nella filosofia continentale, in cui mi riconosco, il
rischio di un’eccessiva popolarizzazione.