Corriere 8.5.18
La Fine dei Giochi
di Antonio Polito
C
on un discorso drammatico, perché non ha nascosto nulla della gravità
senza precedenti della crisi in corso, Mattarella ha annunciato un suo
governo a partiti dimostratisi incapaci di farne uno loro. Un governo
«neutrale», «di servizio», composto da persone non ricandidabili, con
scadenza comunque a dicembre; perché un governo in ogni caso serve,
anche se si vuole tornare alle urne, perfino se si vuole votare, per la
prima volta nella storia della Repubblica, in piena estate.
Il
problema è che M5S e Lega, cioè più della metà del Parlamento, hanno già
risposto che voteranno contro questo governo, negandogli dunque la
possibilità di fare ciò che sta a cuore al Presidente, e in verità
dovrebbe stare a cuore a tutti: arrivare a dicembre per fermare
l’aumento dell’Iva, evitare il rischio di una speculazione sui mercati
contro un Paese troppo a lungo senza guida, contare qualcosa quando a
giugno in Europa si deciderà su questioni cruciali come i migranti.
Avendo finora impedito che nascesse un esecutivo politico, ora i partiti
possono impedire anche che ne nasca uno non politico. Il potere di dare
la fiducia appartiene a loro, dunque anche la responsabilità.
I l
risultato è che, come mai dal 1948, il nostro sistema parlamentare non
si è rivelato in grado di dare un esito al voto popolare. La legislatura
sta morendo prima di nascere. E niente ci assicura, vista la legge
elettorale e i suoi risultati, che la prossima volta sarà diversa. I due
«vincitori» del primo turno ovviamente ci sperano, e già definiscono
questo secondo turno elettorale un ballottaggio. Ma la storia è piena di
democrazie azzoppate dal ripetersi di elezioni inutili: i cittadini
votano per avere un governo, non per il gusto dell’agonismo. Soprattutto
quando il torneo appare così smaccatamente condizionato dalle ambizioni
personali dei leader, dalla fretta che hanno di vincere per non essere
disarcionati, o dalla speranza di tornare in pista pur avendo perso.
Così
lo scontro politico di questi due mesi si è trasformato,
inevitabilmente, in una grave tensione istituzionale. Tra i partiti ha
prevalso il giochino del pop corn. È una metafora più volte usata in
questa crisi. Ogni volta che qualcuno voleva sfuggire alle sue
responsabilità, se ne usciva dicendo: «Ora ci compriamo i pop corn e ci
divertiamo». Il che stava a dire: voglio proprio vedere come se la
sbrogliano gli altri. O anche: tanto peggio, tanto meglio per me, che
almeno mi diverto (sottinteso: conquisto altri voti). Si sono divertiti
tutti, pare; e adesso vogliono che il pop corn lo compriamo noi elettori
e ci sediamo ad assistere al più straordinario degli spettacoli
politici mai visti: la seconda campagna elettorale in sei mesi.
Questa
propensione al gioco del cerino non è purtroppo tipica solo del nostro
sistema politico: in troppi campi gli italiani preferiscono che perda
pure l’avversario, se non possono vincere loro. Ma in politica si gioca
con il bene comune. E nessuno tra i protagonisti di questa crisi è
esente da colpe. Né chi avendo preso molti voti aveva la responsabilità
di accettare i compromessi inevitabili a far nascere un governo di
coalizione. Né chi, avendo preso meno voti, ha pensato solo a mettersi
di traverso per dimostrare che gli elettori si erano sbagliati. La crisi
si è così trasformata in un minuetto: ciascuno dei tre schieramenti
maggiori mancava dei parlamentari necessari per fare un governo, ma
nessuno dei tre è riuscito ad allearsi con un altro per ottenerli. Lo
scambio di accuse finali ha il solo scopo di prendere la posizione
migliore per la griglia di partenza del nuovo gran premio elettorale.
Così
ora non ci resta che scoprire se si voterà a luglio, addirittura
l’otto, la data che con una certa presunzione Di Maio e Salvini hanno
ieri indicato a Mattarella, unico titolato in materia; oppure a fine
luglio, visto che prima è difficile anche tecnicamente, quando cioè
alcuni milioni di italiani saranno in meritate vacanze; o in autunno,
come Berlusconi preferirebbe, distinguendosi in questo da Salvini. Fino a
dicembre, come vorrebbe Mattarella, nelle attuali condizioni non pare
possibile arrivarci. Il suo invito alla responsabilità per il momento
non è stato accolto.
C’è ancora qualche ora per ripensarci. Ma la
legge di Murphy dice che se una cosa può andare male, andrà male. E
questa legislatura è finora andata così male da far disperare che si
possa riprendere in articulo mortis.