Corriere 4.5.18
Un maestro dei fumetti racconta uno dei grandi pittori da lui più venerati
La
 collana Da oggi in edicola con il quotidiano la prima uscita della 
serie dedicata al disegnatore che vive nella Roma del Seicento ma qui ha
 il volto di Andrea Pazienza
Geniale, appassionato (e vero) Il Caravaggio di Milo Manara
di Stefano Bucci
La
 galleria dei suoi autoritratti non è affollatissima, come si conviene a
 un genio assoluto, ma anche misterioso: la testa (mozzata) del Golia 
della Galleria Borghese di Roma; il Ponzio Pilato dell’Ecce Homo di 
Palazzo Bianco a Genova; il profilo di giovane uomo che spunta dal buio 
della Cattura di Cristo della National Gallery di Dublino e quello del 
Martirio di San Matteo a San Luigi dei Francesi.
Per immaginarsi 
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610), il maestro della 
Madonna dei Palafrenieri e delle Sette Opere di Misericordia, meglio 
guardare a chi (con successo) ha già provato a raccontarcelo: il 
Caravaggio sceneggiato in tre puntate per la Rai, Gian Maria Volontè 
come protagonista (1967, regia di Silverio Blasi); quello (affascinante e
 tormentato) del film di Derek Jarman (1986); quello (vivace e inquieto)
 del libro di Helen Langdon (pubblicato da Sellerio nel 2001).
Il
 Caravaggio immaginato da Milo Manara, un progetto che aveva preso corpo
 nel 2005 con la pubblicazione per Panini Comics della graphic novel a 
colori Caravaggio. La Tavolozza e la Spada che ora inaugura la nuova 
collana del «Corriere» dedicata a uno dei grandi del fumetto, è certo un
 Caravaggio diverso da tutti gli altri. A cominciare dai tratti del 
volto, evidentemente modellati su quelli di Andrea Pazienza (1956-1988),
 il poeta dei cartoon. Il motivo, Manara (Luson, Bolzano, 1945) l’ha 
spiegato più volte: «Oggi Caravaggio se fosse tra noi non farebbe il 
pittore: probabilmente farebbe cinema, perché lui è sostanzialmente un 
narratore. Se dovessi indicare un nuovo Caravaggio, non lo indicherei 
nella pittura ma proprio nei fumetti. L’ho voluto ritrarre con il volto 
di Andrea non solo per il suo straordinario talento, ma perché Pazienza 
come Caravaggio era un uomo d’azione, che ha vissuto una vita dinamica, 
avventurosa, dall’esito tragico».
Nella Tavolozza e la Spada viene
 narrata la vita del geniale pittore italiano, dal suo arrivo a Roma 
alla fine del Cinquecento fino alla rocambolesca fuga dalla capitale: le
 tavole di Manara ne raccontano in particolare l’arte e le opere, ma 
anche la passione e gli eccessi. Un innamoramento, quello di Manara, che
 arriva da lontano, dalla gioventù: «Molti anni fa, agli esami di 
maturità artistica, il professore picchiettò con l’indice sulla 
copertina del libro di storia dell’arte dicendomi: “Mi parli di questo”.
 Sulla copertina c’era la vostra Canestra di frutta. Beh, feci un 
figurone: sapevo tutto di Voi. Almeno tutto quello che uno studente 
poteva sapere, a quei tempi. Ho sempre avuto un’autentica venerazione, 
per Voi. E poi c’era quella faccenda delle iniziali: vedete, Maestro, io
 ho le Vostre stesse iniziali».
Secondo il classicissimo Nicolas 
Poussin, il pittore filosofo del Trionfo di Flora (1631) e di tanti 
aulici Paesaggi affollati di dei e ninfe, Caravaggio sarebbe venuto al 
mondo addirittura per distruggere la pittura. Una teoria che Manara non 
condivide, come testimoniano le sue tavole costellate, certo di donne 
bellissime e spesso poco vestite, ma anche di citazioni di Raffaello, 
Paolo Veronese, Picasso, de Chirico e naturalmente Caravaggio. Cercando 
di restare, sia pure con qualche licenza poetica, il più possibile 
vicino alle fonti della vicenda del pittore seicentesco. E, come aveva 
affermato Claudio Strinati, «assumendo in questa narrazione disegnata un
 senso profondo che va molto oltre la verosimiglianza storica, per 
entrare nei meandri di un’idea della Verità che per molti versi è 
proprio quella che fu del Caravaggio».
Nella sua mole di opere 
decisamente consistente (come aveva testimoniato la mostra Nel segno di 
Manara chiusa lo scorso gennaio al Palazzo Pallavicini di Bologna), resa
 possibile dalla grande velocità di esecuzione, Manara ha inanellato una
 lunga serie di storie, oltre ad un’infinità di altre pagine, spesso 
sceneggiate da autori tra cui Alejandro Jodorowskij, Vincenzo Cerami e 
Hugo Pratt, Federico Fellini. Sempre, però, con un segno inconfondibile.
 Perché Milo Manara è autore colto, competente, più che mai attento a 
rispettare, nel caso del Caravaggio, il proprio idolo artistico nella 
sua trasposizione. Un Caravaggio, con il volto di Andrea Pazienza, 
disegnato magnificamente, narrato con passione e intelligenza: dal punto
 di vista squisitamente grafico.
Un’opera sontuosa che offre la 
rappresentazione della Roma del Seicento, vera protagonista con 
Caravaggio della storia. Ma soprattutto, il libro trabocca adorazione 
delle opere caravaggesche, e grande empatia con l’autore. Notevole è 
l’attenzione nel riproporre capolavori immortali come Il Martirio di San
 Matteo, Giuditta e Oloferne o la Morte della Vergine, ridisegnati a 
mano da Manara senza l’ausilio di supporti fotografici. Ma la vera magia
 è forse la capacità di restituire l’incanto plastico e la tensione 
sensuale che traboccano dalle tele del Caravaggio.
 
