Corriere 3.5.18
Il ritorno del profeta 
Perché i conti con Marx non finiscono mai
Intuizioni geniali e grandi illusioni nel pensiero del filosofo tedesco che capì l’ambiguità del capitalismo
di Marcello Flores
Il
 bicentenario della nascita di Karl Marx cade nel mezzo di un periodo 
dominato, su scala internazionale, da una robusta presenza di regimi e 
ideologie politiche che hanno sempre considerato la sinistra, il 
marxismo, i diritti dei lavoratori e l’aspirazione all’uguaglianza come i
 principali nemici di un capitalismo che intende esprimere le sue 
potenzialità e i suoi successi attorno alla crescita del profitto e del 
mercato. Ma è anche un momento in cui, attorno a studi scientifici e a 
divulgazioni per un largo pubblico (ultimo il film Il giovane Karl Marx 
di Raoul Peck) si è ripreso a parlare del pensatore di Treviri, europeo 
per contingenza e cosmopolita per convinzione, autore del «tentativo 
audace di dare una risposta, con gli strumenti sofisticati della 
filosofia e della scienza economica, all’eterna aspirazione 
all’eguaglianza». Sono parole, queste, con cui Antonio Carioti introduce
 il volume a più voci da lui curato Karl Marx vivo o morto? (Solferino).
È
 grazie al filosofo ed economista tedesco che per un secolo e mezzo il 
capitalismo è stato studiato e analizzato in profondità, ma anche 
combattuto per modificarlo e trasformarlo o per distruggerlo e 
sostituirlo con il socialismo e il comunismo. Nessuno, ormai, dubita 
della profondità e dell’ampiezza della riflessione compiuta da Marx, 
anche se Michele Salvati ci ricorda che egli «elaborò e mise in circolo 
le sue analisi e il suo messaggio proprio mentre la rivoluzione 
industriale stava trasformando le società europee più avanzate», mentre 
oggi «con la globalizzazione del capitalismo quasi completa è il mondo 
intero a esserne il soggetto, un mondo però frammentato in una miriade 
di Stati con interessi diversi e spesso conflittuali». Anche se le 
previsioni di Marx sulla caduta tendenziale del saggio di profitto o 
sull’immiserimento e l’omogeneità crescente della massa dei lavoratori 
dipendenti non si sono verificate, resta valida la sua grande intuizione
 che lo sviluppo della produzione affidata al profitto e al mercato 
avrebbe incontrato e creato tensioni e crisi continue.
La forza 
rivoluzionaria e trasformatrice del capitalismo fu, secondo molti autori
 del volume, una delle scoperte più importanti che Marx lasciò in 
eredità al pensiero moderno, capace di cogliere il «processo di 
distruzione creatrice», come lo chiama Alberto Martinelli, che lo 
caratterizzava e di analizzarne la natura ambigua e cioè — nelle parole 
di Umberto Curi — «il fatto che esso sia un momento di progresso e di 
incivilimento, e insieme uno strumento di oppressione». Se è quindi 
nella visione «critica» di Marx che risiede ancora la sua attualità, non
 si può dimenticare tuttavia, come suggerisce Maurizio Ferrera, il 
fallimento della sua teoria politica, la liquidazione come sterile di 
ogni discussione sulla giustizia e il diritto, «la sua riduzione del 
politico a mera sovrastruttura alla mercé dell’economia».
Una 
storia parallela e successiva alla vita di Marx — che Carioti tratteggia
 con finezza e vivacità in uno schizzo biografico accurato, capace di 
cogliere le vicende familiari e politiche, intellettuali e finanziarie, 
lavorative e individuali in una sintesi di rara efficacia — riguarda 
necessariamente lo sviluppo del marxismo dopo Marx, l’irrigidimento 
dottrinario e spesso il fraintendimento che ne fecero i dirigenti 
politici del movimento operaio, come ci raccontano Fulvio Cammarano e 
Gianfranco Pasquino, mentre Giulio Giorello mette a confronto due tra i 
critici più acuti del pensiero di Marx — Bertrand Russell e Karl Popper —
 per cogliere in profondità il suo «intreccio di scientificità 
dichiarata e di emotività latente» emersa negli scritti più orientati 
alla costruzione di una organizzazione internazionale dei lavoratori.
Invece
 Marcello Musto analizza con finezza le critiche post-coloniali fatte a 
Marx, mostrando come l’accusa di «inesorabilità storica del modo di 
produzione borghese» risulti strumentale e carente, soprattutto se 
confrontata col pensiero degli ultimi anni, nella polemica con 
Michailovskij e nelle lettere a Vera Zasulic riguardo alla Russia e al 
suo rapporto col capitalismo e con la tradizione rurale comunitaria.
Alla
 ricchezza degli spunti che emergono da questo utile volume fa da 
controcanto Alain Badiou, che in un’intervista rivendica l’attualità del
 comunismo di Lenin e di Mao, sulla cui opera un bilancio può essere 
però fatto solo da «noi comunisti», della «corrente maoista» emersa nel 
maggio 1968 a Parigi, «principale novità politica» dell’anno.
 
