Corriere 24.5.18
«Stato e Chiesa vanno separati, come in Italia»
di S. Gan.
Janet
O’Sullivan, o Janet Ní Shuilleabháin nella «versione» irlandese, è una
delle voci più ascoltate del campo pro-abortista. Femminista e
scrittrice, nel 2016 è stata inclusa nella lista delle «100 donne più
influenti» stilata dalla Bbc. Due anni fa ha raccontato via twitter
l’interruzione di gravidanza cui si sottopose da ragazza.
Nessun rimorso?
«L’unico rimorso è di essere stata costretta ad andare in Gran Bretagna».
Quale fu l’aspetto peggiore?
«Ho pianto moltissimo, e ho incontrato molte altre irlandesi che come me avevano dovuto andare all’estero».
Scrisse di aver dovuto «raccontare moltissime bugie, riguardo quel viaggio. Anche in famiglia?
«Sì, non lo dissi ai miei genitori, ma loro intuirono e aspettarono che io fossi pronta a parlarne».
Le giovani irlandesi che oggi si trovano in quella situazione, vivono lo stesso isolamento?
«Le
giovani donne sono più arrabbiate che sole, rispetto al passato hanno
più potere nelle scelte personali e si offendono di dover viaggiare
all’estero. Ma riescono più facilmente a parlarne con gli amici e i
familiari, il che è sicuramente molto più sano».
Che cosa è peggiore: la vergogna o lo stigma sociale?
«Uno alimenta l’altro, ma liberarmi dalla vergogna mi ha aiutato a combattere lo stigma».
Accadde negli anni Novanta, cosa è cambiato in questi vent’anni alla società irlandese?
«I
giovani hanno maggiore accesso all’informazione, possono vedere cosa
accade in altri Paesi e la Chiesa cattolica romana, dopo tutti gli
scandali per gli abusi sui bambini e nelle case rifugio, non ha più così
tanta influenza sulle persone».
Nella cattolica Italia l’interruzione di gravidanza è legale dal 1978. Come mai in Irlanda ancora no?
«L’Italia
ha una migliore separazione fra Stato e Chiesa, ma speriamo di imparare
da voi e di non avere problemi di copertura medica a causa degli
obiettori di coscienza in alcune parti del nostro Paese».
Quell’aborto ha influito sul suo modo di essere madre (di due figli)?
«La
genitorialità deve essere una scelta. È un mestiere che consuma, specie
nei primi anni e quando la gravidanza è a rischio. Diventare madre mi
ha reso una “pro-choice” ancor più convinta. La gravidanza non dovrebbe
essere mai una punizione».