Corriere 24.5.18
L’Irlanda ancora divisa sull’aborto Molti indecisi alla vigilia del voto
di Sara Gandolfi
Favorito il fronte del «sì», sostenuto dal premier. Ma nelle campagne vince il «no»
Un
(nuovo) voto storico in Irlanda, dopo il referendum che tre anni fa
sancì il via libera ai matrimoni gay, con il 62,1%. I cittadini
decideranno domani alle urne se allinearsi all’Europa e consentire
l’interruzione di gravidanza, abolendo l’articolo 8 della Costituzione
che impone la tutela della vita fin dal concepimento. Il fronte del
«sì», secondo i sondaggi, avrebbe almeno dieci punti di vantaggio — 44%
contro 34 — anche se lo scarto si è ridotto negli ultimi giorni e sono
ancora molti gli indecisi. La forbice peraltro cambia drasticamente tra
città e campagna: se a Dublino e negli altri centri urbani, la
stragrande maggioranza è favorevole alla legalizzazione, nelle zone
rurali la proporzione si ribalta.
L’aborto è un reato dal 1861.
Trentacinque anni fa, i partiti conservatori, con l’appoggio esplicito
della Chiesa cattolica, consacrarono il divieto nella Costituzione,
attraverso l’ottavo emendamento che mette sullo stesso piano i diritti
della madre e quelli del feto. «Lo Stato — recita — riconosce il diritto
alla vita dei non nati e, tenendo in conto l’uguale diritto alla vita
della madre, ne garantisce nelle sue leggi il rispetto». Ciò di fatto
significa che in Irlanda l’interruzione di gravidanza è negata anche in
caso di stupro, incesto e anomalie fetali che portano alla morte del
nascituro. Una normativa che prevede fino a 14 anni di carcere per
chiunque si sottoponga all’intervento o lo effettui, e che l’Onu ha
definito «crudele e inumana».
Per aggirare il veto in patria, alle
donne irlandesi non resta che andare all’estero per un aborto legale.
Chi non ha i soldi ricorre a metodi più pericolosi, come le pillole
abortive acquistate via Internet, senza alcun controllo medico. Una
situazione sempre più discussa, anche nella cattolicissima Irlanda. Il
cambio di governo, nel 2017, ha accelerato il processo. Il premier
liberale Leo Varadkar, apertamente gay, appena insediato ha annunciato
il referendum. E ha messo a punto il progetto di legge in caso di
vittoria del «sì»: legalizzazione, senza restrizioni, nelle prime dodici
settimane di gravidanza, che si estendono a 24 per le donne con
problemi di salute. Dopo questo periodo, l’interruzione sarebbe permessa
solo per rischi gravi alla salute della madre o anomalie fatali per il
nascituro.