Corriere 19.5.18
Il caso dopo l’incontro con il papa
Lo scandalo abusi e l’ira del Papa: i vescovi cileni si dimettono in massa
Francesco: «Negligenze, perversioni e pressioni». Le vittime: non si torna indietro
Chiesa e pedofilia Si dimettono i vescovi del Cile
di Gian Guido Vecchi
«Tutti
noi vescovi abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo
Padre». L’intera conferenza episcopale del Cile ha presentato al Papa la
rinuncia. Ora sarà il Pontefice a stabilire se e chi confermare. La
decisione è stata comunicata ieri. Francesco aveva concluso giovedì sera
l’ultimo dei quattro incontri con i 34 vescovi convocati a Roma dopo lo
scandalo pedofilia che ha travolto la Chiesa in Cile: insabbiamenti,
coperture, vittime inascoltate e calunniate. Fin dal primo giorno i
monsignori avevano dichiarato — anche perché non avevano scelta — di
rimettersi in tutto e per tutto alle decisioni del Papa. Il gesuita
Zollner: «Un fatto storico».
CITTÀ DEL VATICANO «Sono
molto emozionato. Fa bene al nostro amato Paese, a tanta gente che ha
sofferto per vescovi corrotti e falsi, a tutti i sopravvissuti ignorati
nel mondo intero. Non si torna indietro. La storia è cambiata…». Juan
Carlos Cruz, una delle vittime del prete pedofilo Fernando Karadima, lo
aveva scritto su Twitter poco prima: «Che rinuncino tutti!». A fine
aprile aveva parlato per tre ore con Francesco, «io voglio che nessuna
vittima si senta più sola». Ed ora, a metà giornata, ci sono due vescovi
cileni che nella sala Pio X sillabano un comunicato inaudito, alle
spalle una riproduzione della Madonna di Guadalupe che schiaccia il
Male: «Tutti noi vescovi presenti a Roma, per iscritto, abbiamo rimesso i
nostri incarichi nelle mani del Santo Padre».
Francesco aveva
concluso giovedì l’ultimo dei quattro incontri con i 34 vescovi
convocati a Roma dopo lo scandalo pedofilia che ha travolto la Chiesa in
Cile: insabbiamenti, vittime inascoltate e calunniate. Fin dal primo
giorno i monsignori avevano dichiarato — anche perché non avevano scelta
— di rimettersi alle decisioni del Papa. Sarà il pontefice a decidere
se e chi confermare. Del resto, in una lettera riservata ai vescovi,
Bergoglio parla di un problema che non si risolve «solo con la rimozione
di persone, che pure bisogna fare»: non è che «muerto el perro se acabó
la rabia» , la rabbia non finisce perché muore il cane, «il problema è
il sistema».
In dieci cartelle, Francesco scrive di «negazione di
ascolto e giustizia», denunce e «gravi indizi qualificati come
inverosimili», «gravissime negligenze nella protezione dei bambini»,
sacerdoti «sospettati di praticare l’omosessualità» e messi alla guida
di seminari, pedofili spostati e «accolti in altre diocesi», «documenti
distrutti» per occultare prove, «pressioni» su chi doveva istruire
processi. Una Chiesa «narcisistica e autoritaria», «elitarismo e
clericalismo» come «sinonimi di perversione ecclesiale».
Tutto
nasce dal caso Barros, il vescovo accusato di aver coperto Karadima, ora
87 anni, potente fin dagli anni della dittatura di Pinochet. In Cile, a
gennaio, il Papa aveva difeso Barros: «Sono calunnie, per due volte ho
respinto le sue dimissioni, non ci sono evidenze». Ma poi ha disposto
un’indagine affidata in febbraio all’arcivescovo Charles Scicluna: 64
testimoni sentiti a Santiago del Cile, 2300 pagine. Prima dei vescovi,
ha ricevuto le vittime. Cruz, James Hamilton e José Murillo hanno
accusato in particolare i cardinali Ricardo Ezzati, arcivescovo di
Santiago e Francisco Javier Errázuriz, l’emerito che fa parte del «C9»
del Papa: «Sono criminali». Errázuriz non ha presentato rinuncia perché è
in pensione e a Roma si è mostrato indignato, «mi diffamano, il Papa ha
detto che l’ho informato bene».
Francesco tuttavia aveva chiesto
perdono alle vittime e ammesso i suoi errori «specie per mancanza di
informazioni veritiere ed equilibrate». È solo l’inizio. Marie Collins,
la vittima che abbandonò polemica la Commissione vaticana, non si fida:
«Nessun vescovo rimosso, solo disposti a dimettersi. Niente in realtà
cambia».