Corriere 11.5.18
Militanti e «tifosi» Il malessere nell’ala sinistra del Movimento
di Marco Imarisio
«Avviati
 i gruppi di sostegno per i pentastellati di sinistra». Nell’immagine 
che accompagna la scritta c’è un gruppo di persone disposte in circolo —
 tipo riunione degli alcolisti anonimi — che consolano con mani sulle 
spalle e sguardi affettuosi l’unica figura di schiena, china su se 
stessa e si presume avvilita. Marco Chessa, consigliere comunale M5S a 
Torino, è l’autore della sintesi definitiva della situazione, postata su
 Facebook con l’eloquente hashtag #riderepernonpiangere. Il militante 
diventato attivista del Movimento nel 2015 perché attirato da ognuna di 
quelle cinque stelle che significavano acqua pubblica, ambiente 
eccetera, insomma tutto quello che un uomo all’epoca di 29 anni non 
trovava più in zona Pd e affini, è lui. La conversazione è stentata. A 
ogni livello i pitbull da guardia della controrivoluzione incombono e la
 sindaca Chiara Appendino sta con Luigi Di Maio, più per convenienza che
 per intima convinzione da ex simpatizzante di Rifondazione comunista. 
«Sono orgoglioso di essere cresciuto nei valori della Resistenza e 
dell’Antifascismo» dice Chessa. «Ai populismi di destra che minacciano 
“passeggiate” su Roma posso solo confermare che le loro formazioni e le 
loro ideologie non sono in grado di rappresentarmi. Né ora, né mai».
Il
 Movimento liquido è sempre stato formato da due blocchi piuttosto 
solidi. Fin dall’inizio. Beppe Grillo non ha mai nascosto il rimpianto 
per il vecchio Pci. Gianroberto Casaleggio era approdato dall’utopia di 
Adriano Olivetti a un leghismo neppure troppo temperato. Adesso che la 
roulette pentastellata sembra destinata a fermarsi sulla casella di 
Pontida, i dolori di stomaco della base non sono inferiori a quando 
sembrava il turno dell’alleanza con il Pd. Torino non è Roma. Nella 
seconda città più importante amministrata dai Cinque Stelle, la 
stragrande maggioranza dei consiglieri comunali proviene da delusioni di
 sinistra e la pensa come Chessa. Con variazioni sul tema non di poco 
conto. «Io digerisco il governo con la Lega ma solo se come prima mossa 
mi cancellate il decreto Lorenzin» scrive la consigliera comunale 
Daniela Albano, antivaccinista convinta, e qui volendo si aprono scenari
 di fantasmagorici e insalubri baratti.
Ma Roma, intesa come 
ragion di governo a ogni costo, non è neppure altrove. «Non conosco 
Salvini di persona, ma la sua visione del mondo, o quella che mette in 
scena, su immigrati, omosessuali e sulle donne, non corrisponde in alcun
 modo alla mia» dice la senatrice napoletana Paola Nugnes, una dei pochi
 parlamentari a rompere la consegna del non disturbate il manovratore. 
L’area della sinistra pentastellata ha sempre avuto come riferimento 
Roberto Fico, ma il neopresidente della Camera risulta coperto e 
allineato. Così la voce più forte del disorientamento dei movimentisti 
diviene l’ultima che si è aggiunta al coro in ordine di tempo. L’attore 
romagnolo Ivano Marescotti, comunista figlio di comunisti, aveva fatto 
notizia prima delle elezioni con la sua scelta di campo a favore di M5S.
 «Da militante di sinistra speravo che il Movimento restasse agganciato 
ai “nostri” valori. Mi ritengo già all’opposizione. Ma se vanno con la 
Lega perderanno i voti di quelli come me. Le analisi dell’ultimo voto 
dicono che siamo il 45%». La tesi di Marescotti è che alla fine il 
colpevole sia il Pd, un classico come il maggiordomo nei romanzi gialli 
di una volta. «Perché ci sono dubbi? C’è chi ha deciso di consegnare M5S
 e il Paese a questa deriva. E lo rivendica come un merito. Complimenti 
vivissimi». «Infami, avete sbancato il Sud al grido “mai con la Lega” e 
ora vi calate le braghe». «Se sapevo che il mio voto per voi andava alla
 Lega...». Ci sarà comunque un prezzo da pagare per M5S. I commenti in 
calce al video di Luigi Di Maio che aggiornava sulla trattativa lasciano
 presagire un contrappasso. Anche sul blog delle Stelle, piattaforma 
Rousseau, quindi con un notevole filtro, non mancano le perplessità. In 
questo caso rimandano quasi tutte a Marco Travaglio. Il direttore del 
Fatto quotidiano ha scritto che comunque vada «sarà un pastrocchio» non 
per il tradimento dei penstastellati a sinistra ma per il convitato di 
pietra del nuovo esecutivo. «Con tutte queste ambiguità il governo 
M5S-Lega conviene a Lega, Berlusconi e Pd, ma non al M5S e — quel che 
più conta — agli italiani». L’eterno ritorno dell’ex Cavaliere, insomma,
 sotto la maschera dell’astensione benevola. «Coraggio, ti compriamo una
 bella camicia verde» ha scritto un militante al povero Chessa. 
Preferirei di un altro colore, è stata la risposta.
 
