martedì 1 maggio 2018

Corriere 1.5.18
Zanda: nel partito equilibri cambiati, serve il congresso
«Quando ci si dimette dopo aver dimezzato i voti si abbandona il campo»
intervista di Monica Guerzoni


ROMA Luigi Zanda fu il primo dei dirigenti dem a chiedere a Matteo Renzi di onorare l’istituto delle dimissioni. E adesso che l’ex segretario è tornato sulla scena terremotando il Pd, il senatore che ha presieduto il gruppo di Palazzo Madama rinnova energicamente l’appello: «Quando ci si dimette bisogna abbandonare il campo».
Cosa pensa degli altolà dell’ex premier?
«Penso che Martina abbia ragione, l’atteggiamento di Renzi fa molto male al Pd.Oggi i partiti personali sono di moda ma in tutto il mondo funzionano fino a quando il leader vince. Quando si perde in un referendum, alle regionali, alle amministrative e, alle politiche, si dimezzano i consensi, i partiti personali perdono».
E se il leader sconfitto ritorna?
«Per il Pd il punto di partenza dovrebbe essere ancora l’analisi, mai fatta, della nostra sconfitta al referendum costituzionale. Gli italiani non hanno detto di no alla riforma, ma punito quel modello di potere che era emerso durante la campagna elettorale di Renzi. E questo l’ex segretario non lo ha capito. Le racconto una cosa».
Prego.
«Dopo il 4 dicembre 2016 andai a Firenze ed ebbi una lunga e bella conversazione con Renzi, al quale suggerii di mollare tutto per qualche anno e di partire, anche fuori d’Italia. Lui mi rispose “è impossibile, perché tutti mi chiedono di restare almeno al partito, ma io Luigi ti assicuro che cambierà tutto, condividerò ogni decisione...”. Pensai che la stagione del suo ego strabordante fosse finita. E invece no, non ci è riuscito e sta facendo molto male al Pd».
Avete usato il dialogo con il M5S per far fuori Renzi definitivamente?
«Ma no. Per cinque anni ho fatto una battaglia politica dura coi 5 Stelle al Senato e so che la distanza tra di noi è tantissima. Abbiamo idee molto diverse persino sul tipo di democrazia e sull’Europa, vedo tutti i rischi di un rapporto politico con loro. Ma sottrarsi al confronto è sbagliato, si tratta anche di far fare loro un bagno democratico».
Confronto in streaming?
«Loro furono molto volgari nel 2013, noi non lo siamo. Se dovessero ancora sostenere il primato della democrazia dei clic dovremmo alzarci dal tavolo e non proseguire nemmeno gli incontri, perché sulla democrazia parlamentare rappresentativa il Pd non può transigere».
Ha apprezzato almeno l’apertura sulle riforme?
«Parlarne in tv con una situazione politica così difficile non aiuta il cammino delle riforme costituzionali, di cui l’Italia ha un grande bisogno. È dai tempi di Craxi che questo Paese discute sul modello francese o simili. Non credo che per fare passi avanti su questa strada sia utile buttare lì la proposta senza averla preparata e discussa negli organi del partito».
Renzi è tentato da un partito macroniano tutto suo?
«Nell’Italia del 2018 è una sciocchezza. Il nostro Paese non è la Francia, da noi non ci sono le condizioni sociali e politiche né una Costituzione che lo può permettere».
Di Maio intanto si prepara per le elezioni a giugno...
«Diciamo la verità, in una democrazia sana non bisogna mai avere paura di andare a votare. Ma su elezioni anticipate l’unico titolato a parlare è il presidente della Repubblica e non Di Maio. Chiedendo le elezioni a giugno il capo politico del M5S certifica il suo fallimento. Prima cerca il governo con Salvini, poi col Pd, ora chiede elezioni. Mi sembrano ondeggiamenti eccessivi anche per un grillino».
In direzione giovedì sarà resa dei conti?
«Le conte vere si fanno al congresso. Il Pd ha bisogno con urgenza di un congresso serio e ben preparato, che dia atto del profondo cambiamento dei nostri equilibri interni. Il risultato elettorale ci dice che tra i nostri iscritti ed elettori la maggioranza che ha vinto l’ultimo congresso è diventata minoranza. Vedo dai sondaggi che oggi Renzi è meno popolare di Martina e Gentiloni, per non citare Salvini e Di Maio. E questo vorrà pure dire qualcosa».
L’ala dialogante non ha un candidato. O puntate su Martina?
«Non parlerei di ala dialogante, ma di quella parte del partito che vuole mantenere lo spirito democratico del Pd. Dirigenti che possono aspirare a fare il segretario sono più d’uno, naturalmente anche Martina».
Gentiloni ci pensa?
«È Gentiloni che deve parlare di Gentiloni, non io. Serve il congresso perché il Pd è un perno decisivo della democrazia. Soltanto il Pd può garantire la stabilità democratica, in un momento in cui si fronteggiano i 5 Stelle della Casaleggio associati e il centrodestra di Salvini e Berlusconi».
Per riprendersi il Pd, deve ritirare le dimissioni?
«Francamente, l’istituto giuridico del ritiro di dimissioni dopo due mesi che si sono date non l’ho mai incontrato nella mia vita».