Repubblica 9.6.18
La storia
Le linee rosse
Da Sarajevo a Douma quelle sporche guerre sporche
Dal
1945 nessuna grande potenza ha ufficialmente aperto un conflitto con
un’altra nazione Ma almeno 40 Paesi hanno vissuto una “dirty war”. E
sono morte milioni di persone
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON
«Ci sarà – cinguetta al mattino di sabato il presidente americano Trump
su Twitter rivolgendosi a Putin, ad Assad, all’Iran – un grande prezzo
da pagare» per l’ennesima strage di innocenti gassati in Siria, ma
nessuno, neppure Trump, dice o sa “che cosa” possa essere questo prezzo.
Sappiamo
invece, con assoluta certezza, “chi” lo pagherà: le stesse donne, gli
stessi uomini, gli stessi bambini che da decenni e a decine di milioni
hanno pagato con la loro vita le “sporche guerre” che insanguinano il
mondo.
La Siria, dove dipanare il gomitolo dei “buoni e cattivi” ,
fra mercenari, droni, potenze straniere, sette, alleanze di oggi che
diventano le ostilità di domani è impossibile, è soltanto l’ultima e la
più visibile evoluzione della guerra nell’età nucleare.
Dall’agosto
del 1945, quando la prima bomba A polverizzò Hiroshima e poi dal 1949,
quando Stalin esplose il suo primo ordigno nucleare sigillando
l’equilibrio del reciproco annientamento, nessuna grande potenza ha più
dichiarato guerra a nessun’altra nazione. Le guerre, legalmente
parlando, non ci sono più.
Ma sotto la copertura dell’ombrello atomico, le “dirty wars” sono cresciute e si sono diffuse come funghi velenosi.
Potenze
maggiori e minori, grandi interessi economici, despoti e odi regionali o
religiosi hanno continuato a combattersi in guerre dette “a bassa
intensità”, “asimmetriche”, o “proxy war”, guerre combattute per
procura, da terzi per conto dei principali. E la Siria, dove sono stati
risucchiati Russia, Usa, Iran, Turchia, Arabia Saudita ed Israele, è
soltanto l’apoteosi più sporca del sudiciume bellico sgorgato dalla
fogna della Guerra Fredda.
Quante siano state le vittime di queste
piccole guerre micidiali è un conto che nessuno può fare, perché ai
bambini asfissiati dalle bombe di Assad o alle donne disintegrate nelle
bombe esplose nei mercati di Baghdad andrebbero aggiunti i morti
dell’indotto delle guerre: profughi, malnutriti, malati, migranti della
disperazione annegati o stroncati dalla diaspora della fame. Qualche
ricercatore parla di almeno 30 milioni di caduti, un totale da conflitto
mondiale, quale di fatto questa collana di “sporche guerre”
rappresenta. E se fare un censimento di questo cimitero globale è
impossibile, è invece possibile fare l’appello di tutte le nazioni dove
sono state, o sono ancora, combattute. Occorre pazienza a leggere tutta
la lista, ma va letta, per capire l’enormità di questa piccola grande
guerra mondiale che si trascina, si arresta e si riproduce dalla fine
del Secondo Conflitto. Partiamo: Afghanistan. Angola. Argentina.
Bolivia. Cambogia. Chad. Cile.
Colombia. Congo (Zaire). Corea.
Cuba. Congo. Repubblica dominicana. El Salvador. Timor est. Etiopia. Filippine. Georgia.
Grenada. Grecia. Guatemala.
Haiti. Honduras. Indonesia. Iran.
Iraq. Israele/Palestinesi. Libia.
Laos. Nepal. Nicaragua. Pakistan.
Panama. Siria. Sierra Leone.
Somalia. Sudan. Ucraina.
Ungheria. Vietnam. Yemen. Ex Yugoslavia.
Sono
almeno 40, un quinto del totale rappresentato all’ Onu, le nazioni a
essere state travolte da guerre che definiamo per ipocrisia “sporche”,
perché devono la loro definizione alla sanguinosa opacità delle ragioni e
delle intenzioni. Le mosse delle grandi potenze come gli Stati Uniti,
responsabili e promotori di tanti fra questi conflitti sono a volte
visibili, come in Ucraina dove Putin annette territori per allontanare
dalla Russia i confini della sfera euro-americana e i suoi missili
antimissile. In altri casi, come nella tragedia siriana, sono
avviluppati in manovre di interessi locali. Il mondo che si chiama
civile si scuote soltanto quando le schegge di queste guerre lo
raggiungono attraverso quel terrorismo detto “jihadista” che proprio il
mondo “civile” scatenò con i suoi interventi e invasioni: dall’Urss
nell’Afghanistan del 1979, all’Iraq del 2003, disintegrato da George W.
Bush per “esportare la democrazia”.
Per questo, le fanfaronate via
Twitter di Trump lasciano tutte le parti completamente indifferenti,
come già quella vuota minaccia verso Assad pronunciata da Obama, quando
avvertì il dittatore siriano di «non superare la linea rossa» dell’uso
di armi chimiche: linea che superò impunemente.
Proprio Trump, 48
ore prima di minacciare prezzi terribili, aveva ripetuto che gli Stati
Uniti se ne sarebbero andati dalla Siria.
Nessuno ha paura del
lupo cattivo. La storia delle sporche guerre accese o manipolate da
forze esterne non lascia spazio ad alcun ottimismo o speranza. Dal
prototipo della sudicia guerra civile nella Grecia fra il 1946 e il 1949
pilotata da Stalin e Truman al mattatoio siriano di oggi, le piccole
guerre calde sono il tributo di sangue che il resto del mondo ha pagato
per evitare una nuova grande guerra, alimentando quel complesso militar
industriale che deve trovare clienti.
Se il resto del mondo non fa
niente per fermarle è perché conviene ai potenti: a Douma, sotto le
bombe di Assad, si muore asfissiati anche per noi.