lunedì 9 aprile 2018

Repubblica 9.6.18
La storia
Le linee rosse
Da Sarajevo a Douma quelle sporche guerre sporche
Dal 1945 nessuna grande potenza ha ufficialmente aperto un conflitto con un’altra nazione Ma almeno 40 Paesi hanno vissuto una “dirty war”. E sono morte milioni di persone
di Vittorio Zucconi


WASHINGTON «Ci sarà – cinguetta al mattino di sabato il presidente americano Trump su Twitter rivolgendosi a Putin, ad Assad, all’Iran – un grande prezzo da pagare» per l’ennesima strage di innocenti gassati in Siria, ma nessuno, neppure Trump, dice o sa “che cosa” possa essere questo prezzo.
Sappiamo invece, con assoluta certezza, “chi” lo pagherà: le stesse donne, gli stessi uomini, gli stessi bambini che da decenni e a decine di milioni hanno pagato con la loro vita le “sporche guerre” che insanguinano il mondo.
La Siria, dove dipanare il gomitolo dei “buoni e cattivi” , fra mercenari, droni, potenze straniere, sette, alleanze di oggi che diventano le ostilità di domani è impossibile, è soltanto l’ultima e la più visibile evoluzione della guerra nell’età nucleare.
Dall’agosto del 1945, quando la prima bomba A polverizzò Hiroshima e poi dal 1949, quando Stalin esplose il suo primo ordigno nucleare sigillando l’equilibrio del reciproco annientamento, nessuna grande potenza ha più dichiarato guerra a nessun’altra nazione. Le guerre, legalmente parlando, non ci sono più.
Ma sotto la copertura dell’ombrello atomico, le “dirty wars” sono cresciute e si sono diffuse come funghi velenosi.
Potenze maggiori e minori, grandi interessi economici, despoti e odi regionali o religiosi hanno continuato a combattersi in guerre dette “a bassa intensità”, “asimmetriche”, o “proxy war”, guerre combattute per procura, da terzi per conto dei principali. E la Siria, dove sono stati risucchiati Russia, Usa, Iran, Turchia, Arabia Saudita ed Israele, è soltanto l’apoteosi più sporca del sudiciume bellico sgorgato dalla fogna della Guerra Fredda.
Quante siano state le vittime di queste piccole guerre micidiali è un conto che nessuno può fare, perché ai bambini asfissiati dalle bombe di Assad o alle donne disintegrate nelle bombe esplose nei mercati di Baghdad andrebbero aggiunti i morti dell’indotto delle guerre: profughi, malnutriti, malati, migranti della disperazione annegati o stroncati dalla diaspora della fame. Qualche ricercatore parla di almeno 30 milioni di caduti, un totale da conflitto mondiale, quale di fatto questa collana di “sporche guerre” rappresenta. E se fare un censimento di questo cimitero globale è impossibile, è invece possibile fare l’appello di tutte le nazioni dove sono state, o sono ancora, combattute. Occorre pazienza a leggere tutta la lista, ma va letta, per capire l’enormità di questa piccola grande guerra mondiale che si trascina, si arresta e si riproduce dalla fine del Secondo Conflitto. Partiamo: Afghanistan. Angola. Argentina.
Bolivia. Cambogia. Chad. Cile.
Colombia. Congo (Zaire). Corea.
Cuba. Congo. Repubblica dominicana. El Salvador. Timor est. Etiopia. Filippine. Georgia.
Grenada. Grecia. Guatemala.
Haiti. Honduras. Indonesia. Iran.
Iraq. Israele/Palestinesi. Libia.
Laos. Nepal. Nicaragua. Pakistan.
Panama. Siria. Sierra Leone.
Somalia. Sudan. Ucraina.
Ungheria. Vietnam. Yemen. Ex Yugoslavia.
Sono almeno 40, un quinto del totale rappresentato all’ Onu, le nazioni a essere state travolte da guerre che definiamo per ipocrisia “sporche”, perché devono la loro definizione alla sanguinosa opacità delle ragioni e delle intenzioni. Le mosse delle grandi potenze come gli Stati Uniti, responsabili e promotori di tanti fra questi conflitti sono a volte visibili, come in Ucraina dove Putin annette territori per allontanare dalla Russia i confini della sfera euro-americana e i suoi missili antimissile. In altri casi, come nella tragedia siriana, sono avviluppati in manovre di interessi locali. Il mondo che si chiama civile si scuote soltanto quando le schegge di queste guerre lo raggiungono attraverso quel terrorismo detto “jihadista” che proprio il mondo “civile” scatenò con i suoi interventi e invasioni: dall’Urss nell’Afghanistan del 1979, all’Iraq del 2003, disintegrato da George W. Bush per “esportare la democrazia”.
Per questo, le fanfaronate via Twitter di Trump lasciano tutte le parti completamente indifferenti, come già quella vuota minaccia verso Assad pronunciata da Obama, quando avvertì il dittatore siriano di «non superare la linea rossa» dell’uso di armi chimiche: linea che superò impunemente.
Proprio Trump, 48 ore prima di minacciare prezzi terribili, aveva ripetuto che gli Stati Uniti se ne sarebbero andati dalla Siria.
Nessuno ha paura del lupo cattivo. La storia delle sporche guerre accese o manipolate da forze esterne non lascia spazio ad alcun ottimismo o speranza. Dal prototipo della sudicia guerra civile nella Grecia fra il 1946 e il 1949 pilotata da Stalin e Truman al mattatoio siriano di oggi, le piccole guerre calde sono il tributo di sangue che il resto del mondo ha pagato per evitare una nuova grande guerra, alimentando quel complesso militar industriale che deve trovare clienti.
Se il resto del mondo non fa niente per fermarle è perché conviene ai potenti: a Douma, sotto le bombe di Assad, si muore asfissiati anche per noi.