Repubblica 9.6.18
Intervista a Andrea Orlando
“Il Pd non deve temere l’incontro con M5S ma prima Di Maio chiuda alla Lega”
intervista di Goffredo De Marchis
ROMA Ministro Orlando, il reggente Martina dovrebbe incontrare Di Maio prima del prossimo giro di consultazioni?
«Non
ho mai avuto paura del dialogo, ma la decisione compete a Martina. Il
Pd non deve avere timore degli incontri. Nella chiarezza, ovvio. Di Maio
però dovrebbe prima scoprire le carte davanti al Paese se vuole
trasformare il risultato elettorale in una proposta che abbia un minimo
di credibilità».
L’apertura dei 5 stelle contenuta nell’intervista a “Repubblica” è vera o è tattica?
«A
me è apparsa strumentale nel senso che non aveva contenuti. Il suo
ragionamento acquisirebbe una diversa serietà se il leader grillino
esplicitasse il merito del contratto e soprattutto chiudesse a
un’alleanza con la Lega».
Come?
«Prendendo le distanze da
Salvini sui temi dell’immigrazione, respingendo l’ipotesi della flat tax
che è il contrario della domanda di redistribuzione della ricchezza
emersa dal voto. Non dico che cambierebbe la posizione del Pd, ma dal
tatticismo passeremmo alla sostanza».
Resterebbero le critiche feroci contro le riforme dei governi Pd.
La Lega c’entra poco.
«In parte le cose coincidono.
Marcare
una distanza da Salvini significa riconoscere la linea seguita dai
nostri esecutivi su alcuni punti qualificanti: il posizionamento
internazionale dell’Italia, la questione europeista, la collocazione
occidentale e quindi la sconfessione delle simpatie putiniane che i
populisti in Europa hanno espresso in questi anni».
Basta?
«Non è una condizione sufficiente, ma le demonizzazioni non sono compatibili con il confronto.
Cambiare
tono, in democrazia, è un fatto positivo, è la condizione per evitare i
veleni. Ma, se si condivide il giudizio di Salvini per cui tutti i mali
del mondo nascono dal Pd, diventa difficile interloquire anche solo per
convergere su singoli punti nella distinzione tra governo e
opposizione».
Il dialogo serve a fare un accordo con i 5 stelle,
non un’opposizione costruttiva. Il Pd invece ha congelato la sua
posizione sul paletto messo da Renzi.
«Il dialogo serve comunque. Resto convinto che la linea indicata dalla direzione sia quella giusta.
Ma
i 5 stelle devono esercitare un ruolo a prescindere da ciò che facciamo
noi. Di Maio parla sempre di modello tedesco. La Merkel, nei negoziati,
è partita dal programma della Cdu che era un programma di governo che
teneva conto delle compatibilità. Di Maio parte da una serie di slogan».
Intanto il muro di Renzi regge.
«Non
servono muri. L’esito più probabile è l’opposizione. Ma come dice
Walter Tocci si può fare l’opposizione ma non deve passare il messaggio
che corrisponda alla nullafacenza e su che fare si deve discutere».
La base dem sembra seguire la linea renziana dell’Aventino.
«Il
sentimento è quello, anche per la campagna di aggressione che Lega e
grillini hanno costruito contro di noi. La reazione è comprensibile, non
va trascurata.
Ma se siamo affezionati a molte delle cose
realizzate dai nostri governi, con il 18 per cento le difendiamo se sui
singoli punti si dividono gli avversari, se si apre un dialogo con le
forze che sono meno determinate di altre a cancellare quella stagione di
riforme».
I 5 stelle?
«In caso di un asse Di Maio-Salvini
un’opposizione senza iniziativa fa la spettatrice della cancellazione
delle riforme fatte in questi anni.
In questo caso i dirigenti
come si comportano? Spiegano agli iscritti e agli elettori che dialogare
non signfica porgere l’altra guancia ma provare a disarticolare il
fronte avversario».
Capiranno?
«Credo di sì. Proprio perchè
vedo la possibilità di un patto tra 5 stelle e Lega e la probabilità di
elezioni anticipate, conviene al Pd mostrare le distanze di programma da
Di Maio anzichè ripetere semplicemente che ci ha offeso in campagna
elettorale.
Scoprire le sue carte è l’unico modo per essere più forti di fronte a ogni eventualità futura».
Davvero dentro il Pd c’è una guerra social combattuta con gli stessi brutti metodi grillini?
«È
un rischio reale e non è un problema di galateo. Se copiamo i loro vizi
non capisco come facciamo a condannarli. Si possono criticare le
posizioni dell’interlocutore, non è giusto invece delegittimarli sul
piano personale. È un metodo che ci indebolisce e ci ha danneggiato nel
voto del 4 marzo. È accaduto talvolta che colpendo le persone e non le
posizioni abbiamo fatto credere agli elettori di non avere argomenti
solidi».