Corriere 9.6.17
Rischio «suicidio»
Dietro l’angolo c’è l’autodistruzione
I
partiti muoiono per suicidio, non per omicidio. Un partito si estingue
quando ha smesso di capire la propria ragion d’essere. Il Pd sembra
vicino a questa soglia
Il Pd di nuovo alla ricerca della sua ragion d’essere
di Luciano Violante
La
sinistra attraversa una fase difficile in tutto l’Occidente. Dopo la
fine del regime sovietico le forze socialdemocratiche si sono
concentrate sulla mediazione tra le loro tradizionali aspirazioni e i
modelli economici vincenti. Questi ultimi hanno prevalso. E ha prevalso
non l’idea della trasformazione, ma l’idea della conservazione
dell’esistente. Margareth Thatcher, richiesta nel 2002 di quale fosse il
suo maggiore successo, rispose, con malizia: «Tony Blair e il New
Labour. Abbiamo costretto i nostri oppositori a cambiare il loro modo di
pensare». Di fronte all’arretramento della sinistra nella difesa della
giustizia sociale e nei progetti di civilizzazione, la destra estrema ha
occupato quel terreno proponendo progetti di difesa fondati sul
nazionalismo e sulla costruzione del nemico: dazi, muri, sovranismo e
razzismo.
Le difficoltà del Pd rientrano in questo quadro generale
ma hanno anche cause specifiche, che vanno affrontate. Negli ultimi
tempi quel partito ha oscillato tra un centro alla Macron e una sinistra
socialdemocratica. Ora deve scegliere. Deve capire le domande del Paese
e decidere le risposte.
L’Italia non è quel disastro che molti
dipingono. Siamo tutt’ora una delle grandi economie del mondo; i nostri
giovani sono richiesti da centri di ricerca e multinazionali in misura
molto superiore a quella dei colleghi europei, segno che il sistema
universitario funziona; alcune imprese italiane sono tra le migliori del
mondo specie nella meccanica di precisione. Tuttavia permangono
l’aggravamento delle diseguaglianze, la mortificazione della dignità del
lavoro, l’umiliazione delle professioni della conoscenza, l’incerto
destino delle giovani generazioni, relazioni tra pubblico e privato
viziate da sospetto e sfiducia. I due partiti vincitori delle elezioni
hanno cercato di dare risposte ai problemi più gravi. In alcuni casi non
erano condivisibili, ma durante la campagna elettorale sono state le
uniche risposte. Onore al merito.
Per uscire dalla gabbia in cui
si è chiuso, il Pd deve riprendere l’impegno per la giustizia sociale e
per il progresso civile. Combattere le rendite, favorire i lavori,
sostenere lo sviluppo civile, avviare una politica dei doveri: la sua
ragion d’essere è questa. Il secondo partito italiano dovrebbe avere una
posizione sulle più gravi questioni; non dovrebbe lasciare che esse
vengano affrontate davanti a lui senza di lui. Non è questo che serve al
Paese. Fare politica significa spostare forze attraverso la persuasione
e l’esempio. Bisogna perciò decidere come costruire alleanze sociali e
politiche che aiutino il conseguimento dei risultati. È necessario,
infine, regolare i conflitti interni ed essere capaci di chiuderli.
Scelte le cose da fare, si elegge il gruppo dirigente e il segretario.
La competizione tra le persone senza una alternativa delle idee diventa
tumultuosa anarchia. Il rischio del suicidio è dietro l’angolo. Ma
dietro l’angolo c’è anche la possibilità di tornare a essere utili al
Paese.