La Stampa 9.6.18
Ora la minoranza Pd punta ad affossare Renzi all’Assemblea
La
resa dei conti è fissata il 21 aprile. “Poi i parlamentari si
adegueranno” Ma l’ex segretario conta di riuscire a bloccare le aperture
al M5S
di Alessandro Di Matteo
Qualcuno che
conosce bene il Pd lo chiama «il partito di Mattarella», altri
genericamente parlano di «anti-renziani», ma qualunque sia l’etichetta
un dato è certo: nel Pd cresce ogni giorno il fronte che spinge per un
dialogo con i 5 stelle e, più in generale, per stanare il partito dalla
linea di opposizione a tutto e a tutti tracciata da Matteo Renzi. Un
fronte che arriva a lambire la stessa cerchia renziana e che prova a
offrire al Capo dello Stato anche la carta del Pd, da giocare al tavolo
da poker della formazione del governo. Goffredo Bettini è il più audace,
insieme a Michele Emiliano arriva a teorizzare il sostegno Pd a un
esecutivo guidato persino da Luigi Di Maio, a certe condizioni.
Bettini
si spinge forse troppo in là, un governo Di Maio sarebbe difficilmente
accettabile anche per chi come Dario Franceschini o Andrea Orlando in
queste ore lavora per scardinare il bunker costruito da Renzi. Ma un
governo guidato da una personalità autorevole, gradita ai 5 stelle ma
non organica per buona parte del Pd - da Walter Veltroni a Nicola
Zingaretti, passando per Romano Prodi ed Enrico Letta - sarebbe da
prendere in considerazione.
L’obiettivo adesso è di fare emergere
chiaramente questo fronte anche all’assemblea del 21 aprile. «Lì si
faranno i giochi - dice un esponente della minoranza del partito.
Dobbiamo fare vedere plasticamente che Renzi non ha più il 70% del
partito che lo sostenne al congresso. Se ci riusciamo, anche i gruppi
parlamentari poi si adegueranno, come accadde con Bersani...».
Lo
scopo è fare uscire allo scoperto anche quella che molti chiamano «zona
grigia» del renzismo, ovvero quell’area che comprende Paolo Gentiloni,
Marco Minniti... Qualcuno, per esempio, ieri ha notato il tweet con cui
Debora Serracchiani ha replicato a Di Maio: «O ci parla di contenuti
oppure gli appelli di Di Maio al Pd sono aria fritta. M5s ha un
programma o un bazar dove si vende o baratta un po’ di tutto?». Una
risposta tagliente, ma che non chiude in maniera netta.
Franceschini,
che è sempre più in contatto con Orlando, dopo l’apertura a Di Maio che
chiedeva di «sotterrare l’ascia di guerra», ieri ha precisato che lo
scenario non è il sostegno a un governo M5S: «Non mi pare sia questo il
quadro». Il punto, ha aggiunto, è che «un governo Lega e 5 Stelle è
quanto di peggio può capitare a un Paese» ed è bene provare a spingere
M5s «verso una posizione riformista progressista piuttosto che venga
risucchiato dalla Lega».
Orlando ripete che le distanze
programmatiche con M5s sono «incolmabili», ma di fronte a un passo
indietro del leader 5 stelle il discorso cambierebbe. Lui e Gianni
Cuperlo riuniranno la sinistra Pd prima dell’assemblea e Cesare Damiano
spiega: «Non si può immaginare di sostenere un governo 5 stelle. Ma
l’eventuale chiamata del Colle per un esecutivo di responsabilità aperto
a tutti potrebbe lasciare ancora alla finestra il Pd? Non credo».
Su
uno scenario del genere ci sarebbe anche la disponibilità di Leu. Dice
Federico Fornaro: «Per noi l’unico confine invalicabile rimane quello
del sostegno a un esecutivo di centro-destra». Certo, i parlamentari di
Leu da soli non bastano, al Senato sono solo 4 e la somma di Pd e M5s fa
161, ovvero il minimo per poter dare il via a un governo. «Non a caso -
ricorda un parlamentare Pd - Renzi e i suoi sono tutti al Senato».
L’ex
segretario Pd è convinto di poter stoppare ogni possibile accordo con
M5s mettendo di traverso i parlamentari a lui fedeli. I renziani sperano
che alla fine Salvini e Di Maio troveranno un accordo, ma sono pronti a
bloccare qualunque larga intesa Pd-5 stelle. «Ma - avverte ancora il
parlamentare della minoranza Pd - se parte il treno di un governo
sull’asse tra noi e i 5 stelle vedrete quanti responsabili arrivano, a
cominciare dai senatori del gruppo misto». Un braccio di ferro che,
stavolta, potrebbe davvero far saltare il Pd e portare a una scissione.