lunedì 9 aprile 2018

Il Fatto 9.6.18
A sinistra è ora di azzerare (davvero) la classe dirigente
Esiste una quota di elettorato dispersa, un popolo ancora “progressista” che chiede giustizia sociale Ma che sia pronto a tornare all’ovile è assai dubbio, almeno fino a quando si vedranno in giro ancora le stesse facce
di Mirko Canevaro


Nella vignetta di Altan, alla constatazione del marito che “non c’è più sinistra”, la moglie reagisce preoccupata: “Oddio, adesso mi resti tutto il giorno per casa a girare in ciabatte”. Oggi, metaforicamente a casa in ciabatte, cerchiamo una scusa per uscire. Il congresso di Possibile? LeU fonda un partito? Potere al Popolo continua l’avventura? Il PD si derenzizza? Tutti a ricostruire la sinistra (che fino all’altro giorno andava invece riunificata), ripartendo dal lavoro, dalle periferie. Perché, pare, c’è un bisogno di sinistra che la sinistra non ha saputo intercettare, e per questo gli elettori di sinistra sono andati altrove, per cui la sinistra è scomparsa (dal parlamento). Eh?
C’è qui in azione uno slittamento semantico. La sinistra scomparsa è una classe dirigente depositaria di una tradizione (comunista, socialista ecc.) portatrice di istanze, appunto, di sinistra. Il suo elettorato smarrito sarebbe anch’esso legato a quella tradizione. E questa tradizione è di sinistra nel senso che ha come priorità l’eguaglianza e la giustizia sociale, nella definizione di Bobbio; “non dà retta alla storia”, come scrisse Vittorio Foa. Insomma, con sinistra stiamo indicando quattro cose diverse: una classe dirigente, un elettorato, una tradizione e infine una categoria di analisi politica.
Ora, chi parla di “ricostruire” la sinistra parla in realtà della preservazione di quella classe dirigente, con una discontinuità politica magari, ma nel segno della continuità biografica. Si può fare? No. Non è nemmeno un giudizio di valore, è una constatazione. Intanto perché c’è troppo passato, troppo da rinfacciarsi. I dibattiti recenti sulla riunificazione, per dire, guardavano indietro, a chi si è unito o scisso quando, a chi ha fatto o votato cosa. Ai tempi del maccartismo, in America, si inventò la categoria degli antifascisti prematuri: tutti erano stati antifascisti negli Anni 40, chiaro, ma quelli degli Anni 30, che magari avevano anche combattuto in Spagna contro i falangisti, quelli erano antifascisti prematuri, sospettati quindi di simpatie comuniste.
Ecco, nella sinistra italiana abbiamo addirittura la categoria degli scissionisti prematuri – il momento giusto per uscire era, pare, esattamente quello in cui sono usciti D’Alema e Bersani, prima era irresponsabile ed estremista (Civati è bordeline). Suvvia. E poi semplicemente perché, come dimostrato dal voto, la gente non li può più vedere – che possono dire quello che vogliono, ma non ci crede nessuno.
Tomaso Montanari queste cose le ha capite e scritte. Sono rimaste, spiega, solo macerie, da cui non si può ricostruire. Come lui, Peppino Caldarola parla di “togliersi dalle palle” – una classe politica e una generazione (o più d’una) insieme. Montanari dice di lasciare perdere anche le “storie passate”. Però, conclude: “C’è bisogno di sinistra perché c’è bisogno, ora come non mai, di uguaglianza, inclusione, giustizia sociale, democrazia. Ed esiste ancora un vasto popolo di sinistra: perduto, demoralizzato, silenzioso, elettoralmente disperso o astenuto”. E qui casca l’asino: ci sarà pure un popolo che chiede giustizia sociale, ma che questo sia un popolo di sinistra, disperso ma pronto a tornare all’ovile, è dubbio.
È di sinistra magari accademicamente, perché la giustizia sociale è di sinistra. Ma molti, in quel popolo, a sentire la parola sinistra mettono mano alla pistola. Per loro, cioè, la sinistra non è invotabile solo come classe dirigente. È invotabile come tradizione, perché in Italia c’è un senso comune anti-sinistra: decenni di detriti, dallo stalinismo del PCI nel dopoguerra alla violenza degli anni di piombo, dall’anti-comunismo rinfocolato da Berlusconi agli inciuci, alla terza via blairiana abbracciata dagli ex-comunisti, e poi la corruzione, Renzi, il Jobs Act, Consip, la riforma costituzionale, e infine le liste di LeU, i litigi. Per la maggioranza degli italiani la sinistra è tossica. Forse lo è sempre stata.
Queste cose le scrivo col cuore spezzato – citando Altan, in ciabatte. Per me (e per molti) la sinistra è un’altra cosa: citavo Bobbio e Foa; e poi gli albori del movimento operaio, William Morris e Rosa Luxemburg, E.P. Thompson e magari Che Guevara, Guccini, Jimmy Reid. Ognuno di noi ha la sua, di sinistra. Ma la sinistra per la maggioranza degli italiani è quella lì. Per questo il M5S si impunta che il reddito di cittadinanza non è di sinistra e Renzi fece il 40% dicendo che era oltre la sinistra… Ora, a me è sempre parso che chi dice che non ci sono più né destra né sinistra sia in genere di destra. Ma, visto che siamo tra le macerie e ci tocca tornare a studiare e pensare, vale forse la pensa di domandarsi se, per chi crede nella giustizia sociale, questo attaccamento emozionale alla sinistra non sia una zavorra.
Questa è stata, per dire, la posizione intransigente di Podemos in Spagna, e questa è la posizione del neonato movimento nostrano Senso Comune. In UK invece il nuovo di Corbyn si è posto con successo in continuità con la tradizione del Labour, rompendo con gli apostati del New Labour. A ognuno la sua via fuori dal pantano. Non so quale sia la nostra. Solo, mentre ne discutiamo, teniamo a mente che il punto non è cantare Contessa (in ciabatte) e dirci figli o nipoti di Ingrao o Berlinguer. Il punto è avanzare la causa dell’eguaglianza e della giustizia sociale, no? Diciamolo sottovoce, il punto è fare cose di sinistra…