Il Fatto 9.6.18
A sinistra è ora di azzerare (davvero) la classe dirigente
Esiste
una quota di elettorato dispersa, un popolo ancora “progressista” che
chiede giustizia sociale Ma che sia pronto a tornare all’ovile è assai
dubbio, almeno fino a quando si vedranno in giro ancora le stesse facce
di Mirko Canevaro
Nella
vignetta di Altan, alla constatazione del marito che “non c’è più
sinistra”, la moglie reagisce preoccupata: “Oddio, adesso mi resti tutto
il giorno per casa a girare in ciabatte”. Oggi, metaforicamente a casa
in ciabatte, cerchiamo una scusa per uscire. Il congresso di Possibile?
LeU fonda un partito? Potere al Popolo continua l’avventura? Il PD si
derenzizza? Tutti a ricostruire la sinistra (che fino all’altro giorno
andava invece riunificata), ripartendo dal lavoro, dalle periferie.
Perché, pare, c’è un bisogno di sinistra che la sinistra non ha saputo
intercettare, e per questo gli elettori di sinistra sono andati altrove,
per cui la sinistra è scomparsa (dal parlamento). Eh?
C’è qui in
azione uno slittamento semantico. La sinistra scomparsa è una classe
dirigente depositaria di una tradizione (comunista, socialista ecc.)
portatrice di istanze, appunto, di sinistra. Il suo elettorato smarrito
sarebbe anch’esso legato a quella tradizione. E questa tradizione è di
sinistra nel senso che ha come priorità l’eguaglianza e la giustizia
sociale, nella definizione di Bobbio; “non dà retta alla storia”, come
scrisse Vittorio Foa. Insomma, con sinistra stiamo indicando quattro
cose diverse: una classe dirigente, un elettorato, una tradizione e
infine una categoria di analisi politica.
Ora, chi parla di
“ricostruire” la sinistra parla in realtà della preservazione di quella
classe dirigente, con una discontinuità politica magari, ma nel segno
della continuità biografica. Si può fare? No. Non è nemmeno un giudizio
di valore, è una constatazione. Intanto perché c’è troppo passato,
troppo da rinfacciarsi. I dibattiti recenti sulla riunificazione, per
dire, guardavano indietro, a chi si è unito o scisso quando, a chi ha
fatto o votato cosa. Ai tempi del maccartismo, in America, si inventò la
categoria degli antifascisti prematuri: tutti erano stati antifascisti
negli Anni 40, chiaro, ma quelli degli Anni 30, che magari avevano anche
combattuto in Spagna contro i falangisti, quelli erano antifascisti
prematuri, sospettati quindi di simpatie comuniste.
Ecco, nella
sinistra italiana abbiamo addirittura la categoria degli scissionisti
prematuri – il momento giusto per uscire era, pare, esattamente quello
in cui sono usciti D’Alema e Bersani, prima era irresponsabile ed
estremista (Civati è bordeline). Suvvia. E poi semplicemente perché,
come dimostrato dal voto, la gente non li può più vedere – che possono
dire quello che vogliono, ma non ci crede nessuno.
Tomaso
Montanari queste cose le ha capite e scritte. Sono rimaste, spiega, solo
macerie, da cui non si può ricostruire. Come lui, Peppino Caldarola
parla di “togliersi dalle palle” – una classe politica e una generazione
(o più d’una) insieme. Montanari dice di lasciare perdere anche le
“storie passate”. Però, conclude: “C’è bisogno di sinistra perché c’è
bisogno, ora come non mai, di uguaglianza, inclusione, giustizia
sociale, democrazia. Ed esiste ancora un vasto popolo di sinistra:
perduto, demoralizzato, silenzioso, elettoralmente disperso o astenuto”.
E qui casca l’asino: ci sarà pure un popolo che chiede giustizia
sociale, ma che questo sia un popolo di sinistra, disperso ma pronto a
tornare all’ovile, è dubbio.
È di sinistra magari accademicamente,
perché la giustizia sociale è di sinistra. Ma molti, in quel popolo, a
sentire la parola sinistra mettono mano alla pistola. Per loro, cioè, la
sinistra non è invotabile solo come classe dirigente. È invotabile come
tradizione, perché in Italia c’è un senso comune anti-sinistra: decenni
di detriti, dallo stalinismo del PCI nel dopoguerra alla violenza degli
anni di piombo, dall’anti-comunismo rinfocolato da Berlusconi agli
inciuci, alla terza via blairiana abbracciata dagli ex-comunisti, e poi
la corruzione, Renzi, il Jobs Act, Consip, la riforma costituzionale, e
infine le liste di LeU, i litigi. Per la maggioranza degli italiani la
sinistra è tossica. Forse lo è sempre stata.
Queste cose le scrivo
col cuore spezzato – citando Altan, in ciabatte. Per me (e per molti)
la sinistra è un’altra cosa: citavo Bobbio e Foa; e poi gli albori del
movimento operaio, William Morris e Rosa Luxemburg, E.P. Thompson e
magari Che Guevara, Guccini, Jimmy Reid. Ognuno di noi ha la sua, di
sinistra. Ma la sinistra per la maggioranza degli italiani è quella lì.
Per questo il M5S si impunta che il reddito di cittadinanza non è di
sinistra e Renzi fece il 40% dicendo che era oltre la sinistra… Ora, a
me è sempre parso che chi dice che non ci sono più né destra né sinistra
sia in genere di destra. Ma, visto che siamo tra le macerie e ci tocca
tornare a studiare e pensare, vale forse la pensa di domandarsi se, per
chi crede nella giustizia sociale, questo attaccamento emozionale alla
sinistra non sia una zavorra.
Questa è stata, per dire, la
posizione intransigente di Podemos in Spagna, e questa è la posizione
del neonato movimento nostrano Senso Comune. In UK invece il nuovo di
Corbyn si è posto con successo in continuità con la tradizione del
Labour, rompendo con gli apostati del New Labour. A ognuno la sua via
fuori dal pantano. Non so quale sia la nostra. Solo, mentre ne
discutiamo, teniamo a mente che il punto non è cantare Contessa (in
ciabatte) e dirci figli o nipoti di Ingrao o Berlinguer. Il punto è
avanzare la causa dell’eguaglianza e della giustizia sociale, no?
Diciamolo sottovoce, il punto è fare cose di sinistra…