Repubblica 9.6.18
Drammaturgo e scrittore, autore di Sweet Dreams
Michael Frayn “Diffidate della felicità è il mondo perfetto che genera mostri”
intervista di Anna Bandettini
MILANO
Due grandi successi teatrali, una farsa e un dramma, hanno garantito a
Michael Frayn, anche da noi, lo status di “ classico moderno”: 35 anni
fa Noises Off — Rumori fuori scena, irresistibile pochade sulle
sghangherate prove di uno spettacolo viste da dietro le quinte con la
compagnia Attori e Tecnici fu un autentico cult comico, metafora di
tante nostre ipocrisie. Anni dopo nel ’ 99 il successo si ripeté con
Copenaghen e stavolta si raccontava il teso confronto, umano e
scientifico, nel ’ 41 tra Niels Bohr e Werner Heisenberg gli scienziati
dell’atomica, in un allestimento che, identico, sta facendo ancora in
questi giorni il tutto esaurito al Piccolo Teatro di Milano con la
stessa terna di attori di prim’ordine della prima replica Giuliana
Lojodice, Umberto Orsini, Massimo Popolizio. Frayn, uno dei grandi
scrittori inglesi contemporanei, lo ha visto e ne è rimasto entusiasta.
Ha 84 anni, alto. Ha modi signorili sottolineati dalla semplicità dello
stile, un po’ come la sua produzione letteraria, che intreccia grazia e
ironia, impegno politico e leggerezza. Da giornalista, i suoi editoriali
per The Guardian e
The Observer negli anni Ottanta divennero
pezzi per la radio brillanti e divertenti, e da scrittore di sedici “
plays” teatrali e undici romanzi, con levità ha fatto convivere drammi e
storie dilettevoli, saggi filosofici e racconti surreali. A
quest’ultimo genere appartiene Sweet Dreams, racconto di un uomo che
senza sapere di esser morto arriva in Paradiso e inizia a fare carriera.
Il
libro, un classico della narrativa inglese, in Italia appena pubblicato
da Atlantide, è la ragione per cui dalla sua casa di Richmond, nella
periferia di Londra, Frayn è arrivato a Milano dove, prima di parlarne
in pubblico, beve un “ coffe strong with milk” in un bar del centro, con
la moglie, la scrittrice Claire Tomalin.
Mr. Frayn lei ha scritto “Sweet dreams” nel ’73. Che effetto le fa riparlarne dopo tanto tempo?
«Mi
fa ripensare a quello che avevo in mente allora. Era una fase di grande
ottimismo politico, la gente di sinistra riteneva possibile la
costruzione di una società ideale, dove tutti sarebbero stati felici. Io
ero scettico. Non ho mai pensato che la felicità sia come la crema
pasticciera, che puoi versare sopra i fatti della vita. Replicai a
quegli utopisti scrivendo Sweet dreams dove il mondo felice è qualcosa
di artificiale, fuori dalle leggi reali, una storia anti-utopistica per
dire che il mondo perfetto di amore, felicità, amicizia è impossibile. E
con questo non voglio dire che la nostra società non possa essere
migliorata. Dico solo che l’idea che tutto possa diventare perfetto è un
sogno metafisico».
Secondo lei c’è chi insegue ancora questo sogno?
«Certi
movimenti millenaristi in America e in Europa, e gli assolutismi sia
politici sia religiosi capaci di giustificare ogni mezzo anche violento
per il fine di ciò che considerano mondo perfetto.
Credere in una
società perfetta è una bella utopia ma le conseguenze pratiche producono
solo crudeltà e cose orribili. Per fortuna oggi la maggioranza delle
persone è più disillusa, al più spera di migliorare le cose. Ed è più
saggio. Certo, in Gran Bretagna siamo riusciti a peggiorarle».
Che vuol dire?
«Brexit è stata un guaio soprattutto per chi l’ha voluta.
Le
persone stanno perdendo il lavoro, le aziende si trasferiscono, i
prezzi aumentano. È straziante e non solo sul piano economico. L’idea
che l’Inghilterra non possa sostenere il proprio ruolo in Europa è un
fallimento per tutti. Dopo due guerre devastanti, avevamo costruito
tutti insieme un sistema di collaborazione che, certo impone
compromessi, ma ha garantito 70 anni di pace. È che le generazioni più
giovani non si rendono conto di quanto siano state terribili quelle
guerre. La gente dimentica tutto».
Proprio in “Copenaghen” lei evocava lo spettro degli armamenti nucleari.
«Le cose sono anche peggiorate.
Copenaghen
guarda alle ragioni umane, perché le persone, anche certe grandi menti,
fanno quello che fanno. Ma questo resterà un rompicapo per lungo tempo.
Basta vedere quante nazioni oggi hanno armi nucleari. E Usa e Russia stanno ampliano ancora il loro potenziale».
E però i russi hanno votato entusiasti Putin, e gli americani Trump.
«I
russi considerano Putin colui che ha resuscitato il paese dal disonore
del crollo del comunismo. Ha salvato il loro orgoglio nazionale. Ma
Putin è un cinico ufficiale del Kgb, pronto a correre ogni tipo di
rischio, sostenuto dai criminali. La Russia è una società criminale, ma
la chiamano democrazia. E quanto agli Usa è incredibile che un paese
civile abbia eletto uno zoticone ignorante. Sì, mi chiedo se riusciremo a
sopravvivere a tutto questo».
Stiamo parlando di tragedie ma lei
in Italia è stato a lungo considerato un autore comico per via di
“Rumori fuori scena”. Ci si ritrova?
«Quando guardi il mondo, ci
sono molte cose serie e terribili, molto dolore, ma ci sono anche molte
cose assurde, divertenti perché assurde. Uno scrittore deve sentirsi
libero di scrivere dell’uno e dell’altro».
Meglio col teatro o con la narrativa?
«Il
teatro l’ho disprezzato a lungo perché da studente scrissi uno
spettacolo che fu un fallimento, una cosa imbarazzantissima. Mi
riconciliai solo verso i 39-40 anni.
Scrissi The Two of Us,
quattro pezzi per due attori. Al debutto stavo dietro le quinte e
pensavo che era più divertente di quello che stava succedendo in scena.
Lì nacque l’idea di Noises off- Rumori fuori scena. E fu l’inizio di
tutto».
Le ultime cose che ha scritto invece sono biografie:
“Afterlife” una commedia sulla vita di Max Reinhardt, l’ideatore del
Festival di Salisburgo e “My Father’s Fortune”, la vita di suo padre.
C’entra il suo amore per Cechov in questo sguardo verso il passato?
«Cechov
ha scritto molto più sul futuro. Se penso a Tre sorelle o Zio Vanja, i
personaggi parlano di un mondo che sarà più bello e perfetto tra 50-100
anni. Cechov non condivide, ma li lascia parlare. Ecco il grande
scrittore».
Lei scrive ancora?
«Se avessi un’idea scriverei.
Vado molto in giro per i miei libri o quelli di mia moglie. Torneremo
presto in Italia, a Genova. Se ricorda nel Gabbiano di Cechov il dottore
dice di essere stato in vacanza in Italia. Gli chiedono quale parte gli
sia piaciuta e lui risponde Genova. Abbiamo pensato di andare a vedere
perché al dottor Dorn piaceva tanto».