Repubblica 8.4.18
Violenze contro gli insegnanti
La solitaria resistenza dei professori
di Massimo Recalcati
Le
aggressioni oscene delle quali gli insegnanti sono sempre più spesso
vittime, da parte dei loro alunni e delle famiglie che ne sostengono in
modo arrogante le ragioni, lasciano senza parole e non dovrebbero essere
sottovalutate. Si tratta di un vero e proprio oltraggio che colpisce al
cuore la nostra vita collettiva. Conosciamo lo sfondo antropologico in
cui avvengono questi episodi: una alterazione della differenza simbolica
tra le generazioni che ha comportato una frattura del patto educativo
tra famiglie e insegnanti. I genitori anziché sostenere i rappresentanti
del discorso educativo si schierano con i loro figli, lasciando gli
insegnanti in una condizione di isolamento. Misconosciuti da uno Stato
che non valorizza economicamente il loro lavoro, sovraccaricati di
compiti educativi di fronte a famiglie sempre più disgregate e
latitanti, gli insegnanti patiscono una condizione di umiliazione
permanente. Nel nostro tempo ogni atto decisionale nel campo
dell’educazione dei figli rischia di essere guardato dalle famiglie come
un sopruso illegittimo, mentre è considerata legittima l’aggressione
violenta di genitori e figli verso gli insegnanti. La vita di questi
figli dovrebbe scorrere su di un’autostrada spianata, dove ogni
ostacolo, ogni esperienza di frustrazione o di ingiustizia dovrebbe
essere rimossa. È il sogno narcisistico dei genitori contemporanei:
assicurare ai propri figli una vita facile di successo, risparmiare loro
ogni angoscia. Se allora un insegnante osa mettersi di traverso
ricordando che ogni percorso di formazione è fatto di prove da superare,
viene travolto in varie forme: dalle denunce al Tar alla violenza
fisica e verbale sino a una sorta di bullismo rovesciato, dove sono gli
insegnanti a subire angherie di ogni genere. In un tempo non lontano
l’insegnante godeva di un prestigio sociale e di un’autorità educativa
che costituivano un punto fermo per le famiglie e per la nostra vita
collettiva. Prima del Sessantotto questo prestigio e questa autorità
spesso sfociavano in un uso repressivo del potere a danno degli
studenti. È stato necessario un lento ma fondamentale processo di
liberazione critica della scuola da modelli pedagogici sterilmente
autoritari. Ma oggi la scuola non è più un luogo di indottrinamento
ideologico ed esercizio di un potere sadico. Non è più un dispositivo
disciplinare che costringe le vite dei nostri figli ad adattarsi a
pratiche pedagogiche coercitive. Nel nostro tempo la scuola è un luogo
di resistenza all’incuria e alla logica produttivistica che ispira
l’iperedonismo contemporaneo. Se c’è un luogo che andrebbe custodito e
difeso con tutta l’attenzione necessaria da ogni forma di
prevaricazione, è il luogo della scuola. È lì che la vita dei nostri
figli può allargare l’orizzonte del mondo, fare esperienza della forza
della parola, dell’erotismo della conoscenza. La violenza brutale di cui
gli insegnanti sono vittime non è solo quella di famiglie incivili, ma è
anche quella più diffusa del discredito che li colpisce: penalizzati
economicamente, denigrati come lavoratori privilegiati, declassati nel
loro prestigio pubblico. Dovremmo invece sempre ricordare che ogni
rinascita collettiva inizia dalla scuola e dalla sua funzione. Quale?
Quella di introdurre la vita dei nostri figli alla dimensione generativa
della cultura. È questo il vero vaccino che abbiamo a disposizione per
prevenire la dissipazione della vita dei nostri figli: consentire
l’incontro con la dimensione erotica del sapere, con la cultura come
desiderio di vita.