La Stampa 8.4.18
Rispettare i prof aiuta a costruire un Paese migliore
di Vladimiro Zagrebelsky
La
gravità dei frequenti episodi, che vedono insegnanti insultati, irrisi,
picchiati dagli alunni o dai loro genitori, va oltre quella dei singoli
casi. Si è infatti davanti ad un fenomeno sociale che vede gli
insegnanti avviliti, impediti di svolgere il loro lavoro e, occorrerebbe
dire, la loro missione sociale. Ogni autorevolezza della figura
professionale dell’insegnate è perduta e con essa il rispetto per la
persona e la possibilità stessa di far opera di educazione.
L’impressione è che il fenomeno sia sottovalutato, particolarmente
quando gli autori delle violenze siano gli allievi, riducendo le
aggressioni a bambinate delle quali basta scusarsi per farla franca
(dopo avere naturalmente umiliato l’insegnante diffondendo le immagini
riprese con i cellulari). E invece si tratta di una manifestazione di
radicale rifiuto del rapporto docente-discente, cui purtroppo spesso si
adeguano le famiglie.
L’origine di ciò cui assistiamo è complessa e
di lunga data. Altri ha certo competenza per approfondirne le cause
sociali, tanto più che non riguarda solo l’Italia. Per restare a
esperienze a noi vicine, si può ricordare ciò che avviene nelle scuole
più difficili delle periferie parigine, dove gli insegnanti temono per
la loro stessa incolumità fisica. Ma là appare una reazione da parte
delle autorità di governo, che si manifesta anche con parole, che qui
sembrano mancare, per rassegnazione o indifferenza. Mancano qui
manifestazioni impegnative di solidarietà per i singoli insegnanti, ma
anche complessivamente per la categoria, cui pure, più che ad altre, la
società e la Repubblica dovrebbero tenere.
Il rispetto per
l’insegnante è indispensabile. Esso si fonda sulla sua capacità
professionale, fatta di conoscenza della materia che insegna e di
aggiornati metodi didattici, ma anche sull’autorevolezza che discende
dalla consapevolezza del ruolo non paritario, che distingue chi insegna
da chi deve imparare. Non è irrilevante nell’avvilimento della funzione,
ma è anzi segno di mancanza di apprezzamento, il penoso trattamento
economico degli insegnanti di tutti i livelli. In una società tanto
attenta al denaro, lo stipendio è un’importante indicazione del valore
che si assegna alla persona che lo riceve. E non è certo segno di
attenzione a questo importante aspetto l’occasionale regalia dispensata
da questo o quel governo.
Dovrebbero essere oggetto di attenzione e
di proposte non solo lo specifico problema della mancanza di rispetto o
addirittura della violenza contro gli insegnanti, patologia grave di
una generale situazione dell’istruzione, ma anche quello della
formazione, selezione e valorizzazione della preparazione e
aggiornamento professionale dei docenti. Da questo evidentemente dipende
quella che vogliamo sia una buona scuola.
Una scuola di alta
qualità è interesse della nostra società. La cultura dei giovani che
escono dalla scuola condiziona la vitalità e civiltà della società tutta
e il suo carattere democratico. Come difendere le istituzioni
democratiche dalla crescente dipendenza da valori effimeri e
irresistibili emozioni o dalla fascinazione di impossibili promesse
diffuse da pifferai magici cui si accodano crescenti colonne della
popolazione? Come, se non con la scuola, far crescere la capacità
critica, l’autonomia di pensiero che fanno di un individuo un cittadino,
rendendolo capace di partecipare effettivamente alla vita sociale del
Paese? In gioco non c’è solo un efficace «ascensore sociale» che renda
dinamica una società rigida come la nostra, non ci sono solo questioni
che riguardano le capacità degli studenti a partecipare alla
competizione per il posto di lavoro. In gioco è la stessa precondizione
della vita democratica della società italiana.
Ma si tratta di
questioni che richiedono visione culturale e politica di ampio respiro e
di lunga durata. Non di questo, però, si occupano i partiti che
discutono del nostro prossimo governo. Se non ai vincitori delle
elezioni, almeno ai perdenti che dicono volersi rifondare si potrebbe
chiedere di pensare a una visione della società di domani e a un
programma per la scuola che la prepara.